Co-evoluzione e federalità liberale nel programma kalergiano paneuropeo

Richard Nikolaus von Coudenhove Kalergi, vissuto tra il 1894 e il 1972, fu e deve essere ricordato come un attento nonché coraggioso filosofo e politico austro-ungarico nato a Tokyo. La sua attenzione verso la sostanza degli assetti politici ed ordinamentali internazionali è stata non solo prognostica ma anche altamente lungimirante, per stimolare e garantire la tenuta, l’innovazione, l’evoluzione in una economia necessariamente interconnessa oltre il naso di ogni isolato localismo. Solo in un’economia ragionata di cooperazione e libertà, dove la parola d’ordine è l’unione e non la divisione, è possibile realizzare la pace pragmatica tra i vari Paesi.

Coudenhove-Kalergi questo lo aveva intuito, ma lo aveva anche comunicato durante gli orrori delle guerre mondiali del Novecento. Kalergi questo lo aveva prontamente segnalato sul finire degli orrori della prima guerra mondiale, anzitutto, diffondendo e difendendo con consapevolezza e con coraggio il concetto di unione paneuropea.

Non di sola concettualità filosofico-politica si è trattato, giacché i germi dell’unione si sono concretizzati in una serie di articoli militanti in cui veniva auspicato un nuovo ordine europeo, e con esso – si potrebbe dire – anche l’ascolto lungimirante, ciclopico e pragmatico delle necessità nei nuovi tempi in un divenire tragico. Di quella tragicità i regimi autoritari, di lì a poco vittoriosi in più parti d’Europa, persero memoria e coscienza molto presto; si addivenne così al cosiddetto secondo conflitto mondiale in barba ad ogni idea di pace e prosperità unionale.

Kalergi nel 1922 aveva infatti pubblicato a Vienna e a Berlino uno scritto, “Paneuropa”, in cui si prospettava l’unificazione politica ed economica degli Stati europei per ovviare ad ogni eventuale ricaduta nelle brutalità della appena trascorsa guerra mondiale del 1914-1918, conflitto salutato dall’Autore come una guerra civile europea. Il manifesto letterario del paneuropeismo della prima metà del XX secolo è stato il Manifesto Pan-Europa kalergiano.

Nel progetto di unificazione federale dell’Europa è inscritto il ricordo del dramma delle ostilità infracontinentali estese a livello globale, e il coraggio graffiante di cambiare rotta verso la via della pace pragmatica e diplomatica, da edificare sulle ceneri dei fanatici sovranismi autoreferenziali, sollevando ponti verso una nuova sovrastruttura sovranazionale federata, capace di dirigere una crescita condivisa. La fase federale degli Stati Uniti d’Europa sarebbe stata la fase conclusiva di un processo tra i vari processi internazionali. Nell’opera programmatica del Coudenhove-Kalergi, essa era vista come successiva rispetto ai passi diacronici di una prima cooperazione strutturabile attraverso il metodo di relazione intergovernativo, a riunione periodica e con deliberazioni votate all’unanimità; a questa fase programmatica sarebbe seguita una fase intermedia di unione doganale tra gli Stati parti del percorso a vocazione panfederaleuropeo.

La cessione di sovranità che sarebbe stata alla base della unione paneuropea sarebbe stata dominata dal principio pubblicistico garantista della reciprocità paritaria: tutti gli Stati avrebbero paritariamente dovuto partecipare al progetto unionale cedendo – o mettendo al centro del forziere comune della funzione paneuropea, si potrebbe anche dire – la sovranità necessaria all’edificazione di una società economicamente più libera, civilmente più pacifica. Leggendo l’Autore si intuisce che la progressione multi-fase avrebbe rappresentato una opportuna metodologia di avvento co-evolutivo nella nuova civiltà paneuropea. Anche l’istituzione di una moneta unica rientrava nel progetto.

L’atteggiamento anti-scientifico di complottismo dietrologista si innesca come chiacchiericcio preclusivo ed infangante, e mai come spazio serio di indagine, ogni volta che un uomo o uno spaccato multiculturale si unisce per proporre un modello di unione verso cui poter tendere comunitariamente per valorizzare ogni individuo in società. Così è accaduto che la memoria di questo grande intellettuale impegnato è stata ingiustamente infangata da chi vorrebbe leggere gli odierni fenomeni migratori intestini all’area mediterranea come il frutto di un macchinoso piano di sostituzione etnica, battezzato astoricamente come “piano Kalergi”. Kalergi aveva un piano sì, ma era un piano per la pace e lo sviluppo: si trattava infatti di un programma per tentare d’investire pur tra mille e più difficoltà su un faticoso e audace percorso paneuropeistico, sfidando le speranze disilluse circa l’evoluzione del sistema di comunicazione e azione fra Stati-soggetti internazionali, all’insegna di una armonia multi-relazionale da gestire a livello federale unionale, all’insegna della ripresa econometrica. Kalergi auspicava l’inizio di un dibattito serio che avesse come orizzonte una paneuropeità istituzionalmente forte e rispettosa verso le diversità culturali nonché pronta a proteggere le minoranze.

Ancora oggi, quali strumenti unici e irripetibili della grande anima laica della storia, i paneuropeismi si pongano quali germi federalisti dialettici e trasversalmente militanti, moderati e radicali nell’equilibrio di un risorgimento patriottico esteso alla transnazionalità democratica, sul dolente costato euroafroasiatico. Su questo costato terrestre in cui le amicizie transatlantiche devono essere animate con la mozione d’ordine della promozione di libertà, ordine e garantismi democratici, si agitano, tra populismi e leggerezze, i sovranismi autoreferenziali e provincialisti del nazionalismo a-patriottico o falsamente patriottico, da un lato, e gli internazionalismi ideologici e automatisti nonché aprioristicamente sdominicalizzanti, dall’altro lato.

Del Novecento – di cui gli anziani ci parlano con gli occhi a più tonalità lucidi – si prendano i germi di progresso panstrutturale, e non gli ideologismi anacronisticamente cotti, riscaldati e riciclati sulla clava di pietra di una mai levigata inettitudine politologica.


Articolo precedenteInvecchiamento: tra saggezza e resilienza del sistema immunitario
Articolo successivoEcco il nuovo DPCM
Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.