
Una lettura antologica per l’a.s. 2025/26
Nel prossimo anno scolastico sarebbe opportuno, anche se doloroso, tornare a leggere un autore da tempo trascurato: Vittorio Alfieri (1749-1803). Non tanto per le sue tragedie, quanto per i trattati politici, specialmente “Della tirannide”, in cui affronta una realtà tremendamente attuale in Italia e nel mondo intero.
“Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d’impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; ad ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.”
L’analisi di Alfieri mette in evidenza i meccanismi costanti ed immutabili del potere tirannico, con alcune intuizioni davvero profonde. Gli è chiaro che inevitabilmente il tiranno, una volta raggiunto il potere, non potrà che usarlo in modo corrotto e arbitrario, basandosi sulla sopraffazione e sulla violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Il tiranno è prima di tutto un individuo moralmente depravato, che esercita il potere per soddisfare i propri bisogni egoistici, senza alcun rispetto per il bene comune.
Egli mantiene il potere con diversi strumenti: la paura, usata per intimidire i sudditi e impedire qualsiasi forma di ribellione; la corruzione, offrendo privilegi a coloro che lo sostengono; la manipolazione delle masse, attraverso il controllo dell’informazione e della cultura (tema che sarà approfondito nel trattato politico Del principe e delle lettere)
Altro tema fondamentale dell’opera è la libertà individuale. Per Alfieri, la libertà è il valore più alto a cui un uomo possa aspirare, un diritto da difendere con ogni mezzo. L’autore esalta il coraggio di chi si oppone alla tirannia, anche a costo della vita e condanna la passività e la rassegnazione di chi accetta l’oppressione senza ribellarsi.
È bene ricordare, soprattutto ai giovani, che l’avversione per ogni forma di tirannia è profondamente radicata nella tradizione culturale italiana. Ne è un testimone sorprendente Michelangelo Buonarroti (1475-1564): nei Dialoghi intorno alla Divina Commedia di Dante di Donato Giannotti, Michelangelo sostiene che Dante non avrebbe dovuto collocare Bruto e Cassio, assassini di Cesare, nel più profondo dell’Inferno (canto XXXIV):
“Non è da credere che egli non conoscesse che Cesare fu tiranno della sua Patria; et che Bruto et Cassio giustamente l’ammazarono… che chi ammazza un tiranno non amaza un huomo, ma una bestia in forma d’huomo. Perché essendo tutti i tiranni spogliati dell’amore che naturalmente ciascuno debbe portare al prossimo, conviene che manchino degli affetti umani, et conseguentemente non siano più huomini, ma bestie. Che i tiranni non habiano amore al prossimo è manifesto; perché non harebbono occupato quel ch’è d’altri, né per soprastare a’ gli altri sariano tiranni divenuti…. E’ adunque chiaro che chi amaza un tiranno non commette homicidio ammazando non un huomo, ma una bestia. Non peccarono dunque Bruto et Cassio quando ammazarono Cesare. Prima perché ammazarono un huomo al quale ciascuno cittadino romano per comandamento delle leggi era obbligato torre la vita. Secondariamente perché non ammazarono un huomo, ma una bestia vestita da huomo.”
Michelangelo peraltro giudica in modo completamente diverso i sovrani ereditari o quelli volontariamente eletti , “che col consenso degli huomini governano la loro città”: non poteva prevedere evidentemente i meccanismi a noi contemporanei del controllo del voto, della manipolazione delle candidature e dell’assenteismo elettorale. Spetta a noi aggiornare le categorie descrittive della tirannide.
Com’è noto Alfieri manifesta le sue idee illuministiche con l’empito titanico e tirtaico proprio dei Preromantici. Affascina per come scrive, per i temi che affronta e anche per la sua vita un po’ sopra le righe, ma ha del tiranno un concetto piuttosto riduttivo. Io propendo per la teoria dell’anaciclòsi di alcuni autori greci del calibro di Polibio e Erodoto, secondo i quali un popolo parte col darsi un solo capo e quando il monarca diventa tiranno gli affianca l’aristocrazia; quando l’aristocrazia degenera in oligarchia si ribella, caccia tutti e approda alla democrazia. Presto o tardi però la democrazia degenera in oclocrazia e allora quel popolo torna necessariamente – anche con la ferocia – al capo unico. Questa ciclicità deriva da un’altra convinzione dei greci: ogni fenomeno umano nasce, cresce, raggiunge l’acme e poi declina; più o meno velocemente, aggiungo io. La tirannide dunque altro non è che la normale evoluzione del potere di un solo uomo in un ciclico quanto fisiologico avvicendarsi di fasi relative al governo di un popolo. Perché spaventarsene?
Noi piuttosto a che punto siamo? Dove approderemo?
L’anaciclosi è una teoria che si basa sulla storia greca, ma non è detto che possa essere considerata un modello assoluto. E’ un tipico esempio della “miseria della storia” e dei rischi dello storicismo, ovvero considerare che la storia sia di per sè “magistra vitae”. Montale nella sua poesia “La storia” ha contestato in modo molto consapevole questo principio. Ramon Panikkar (1918-2010) vede nella Storia il mito per eccellenza della società occidentale e teorizza la necessità di un nuovo Mito. Fukuyama ha sostenuto che la società occidentale della fine del XX secolo coincide con “la fine della Storia”, salvo essere smentito dai fatti. La questione che pone Alfieri è semplice: la tirannide non va considerata storicamente ma dal punto di vista etico. In altri termini, anche se noi vediamo giornalisti affannarsi per ore in TV a scandagliare la Storia per giustificare una qualche propria interpretazione, non si sa quanto disinteressata, non è al Tribunale della Storia che dobbiamo rivolgerci, ma al Tribunale della Coscienza e sulla base di questo fare i conti con la realtà, con tutte le sue complicazioni. Dunque a che punto siamo? Dove approderemo? Da nessuna parte senza una consapevole presa di coscienza ed azione collettiva.
La lettura di questo articolo invita ad una sosta riflessiva e l’attenzione si concentra ancora una volta sulle attuali e reali personificazioni della tirannia.
Tuttavia, l’uomo saldo e coscienzioso
continua a farsi pervadere dal dono della
libertà, una libertà che si ribella con
educazione, una libertà che agisce con
fermezza anticonformista, una libertà che
non degenera in anarchia, una libertà potenzialmente capace di trainare le folle, una libertà autentica e desiderosa di sradicare subdoli meccanismi tirannici in cui sono intrappolati gli assetati di potere: il potere che acceca, il potere che non comprende, il potere che devasta, il potere che desidera schiacciare la bellezza dell’umanità, il potere che, però, è destinato nel tempo a pagare lo scotto del danno che ha causato e che causa!
I riferimenti ai trattati politici di Alfieri e alla testimonianza di Michelangelo Buonarroti mettono in luce che vi è un vero grande potere capace di pervadere l’uomo positivamente: il coraggio di ancorarsi saldamente al dono della libertà, che si fa motore della ribellione contro il massacro della dignità della persona, strumentalizzata dal potere tirannico!
Aggiungo che è necessario trovare nuove forme di contrasto alle nuove forme di oppressione.