
La poesia come strumento di liberazione dalla violenza
La legge 15 del 2022, così come il Codice Rosso, sono strumenti importanti per combattere la violenza, ma in un contesto complesso, come quello in cui viviamo, è necessario un intervento più profondo che vada oltre la legislazione, che tocchi le radici emotive, storiche e culturali del fenomeno. La poesia e l’arte hanno un ruolo fondamentale in questo processo. La poesia non si limita a essere una forma estetica, ma diventa uno strumento potente di testimonianza, resistenza e trasformazione. La voce poetica può scuotere le coscienze, rendendo visibile l’invisibile. L’arte, in tutte le sue forme, può smuovere l’anima, risvegliare la coscienza collettiva e individuale, portando alla luce quelle ferite profonde che troppo spesso vengono ignorate. Quando le parole si fanno poesia, acquisiscono una forza diversa, diventano una verità che non può essere facilmente ignorata. Il potere della poesia sta proprio nell’aprire gli occhi di chi legge, costringendolo a vedere ciò che prima era nascosto o minimizzato. Ma come si può intervenire concretamente quando le donne vittime di violenza sono in una condizione di fragilità estrema? Molte donne subiscono violenze fisiche, psicologiche e sessuali non solo perché sono vulnerabili, ma anche per le difficoltà economiche, affettive, e sociali che affrontano. La violenza si intreccia con la dipendenza economica, l’isolamento culturale e linguistico, e spesso con disabilità fisiche che rendono il loro cammino ancora più difficile. L’indifferenza, il pregiudizio e la solitudine sono nemici invisibili che le rendono prigioniere. In questi casi, non basta una legge, anche se fondamentale. Serve un cambiamento culturale che sappia includere tutte le voci, che sappia accogliere chi è diverso e chi è più fragile.
La domanda che ci poniamo, quindi, è: quale alternativa c’è per queste donne? La risposta sembra quasi scontata, ma non lo è: amare la violenza o cercare rifugio altrove. Abitare la violenza è una scelta che nessuna donna dovrebbe fare, ma in molti casi diventa una sorta di inevitabilità per chi non trova nessun altro spazio, nessuna altra via di fuga. Eppure, fuggirela tragedia dell’esistenza è possibile, anche se non è mai facile. La poesia ci offre la possibilità di vedere una via di scampo. Ci mostra che la forza di resistere, di rimanere vive, non è legata alla condizione sociale o fisica, ma alla forza interiore di ciascuna di noi. In questo processo di resistenza e di salvezza, vedo il carattere femminile come una leva straordinaria. Le donne hanno una capacità di resilienza unica, che spesso emerge nei momenti di più grande difficoltà. È proprio nel riconoscimento del proprio dolore, nel mettersi in contatto con la propria vulnerabilità, che la donna può trovare la forza per agire, per trasformare la paura in coraggio. La violenza non può mai essere accettata come parte della vita, ma la forza di resistere e di cercare una via di uscita può diventare la spinta per cambiare le cose, per invertire il corso degli eventi.
La poesia di Antonia Pozzi“Anima, andiamo”, è un potente inno alla fuga, alla resistenza e alla ricerca di un rifugio lontano dalla violenza e dalla sofferenza del mondo. La poetessa, nella sua scrittura, esprime una lotta interiore contro la dolorosa realtà che la circonda, cercando una via di salvezza che si materializza nel rifugio naturale della pineta, un luogo che sembra promettere protezione e tranquillità, ma anche una consapevolezza dolorosa dell’irreparabile. La sua poesia racconta di un cammino attraverso il dolore, ma anche della forza di trovare un luogo sicuro dove non solo ci si può rifugiare fisicamente, ma anche spiritualmente. È un passo verso l’indipendenza, verso la liberazione dal male che opprime.
La mia scrittura, invece, pur condividendo il desiderio di salvezza e di lotta, si spinge oltre, decentrando la narrazione dalla singola esperienza di una poetessa a quella di tante donne vere, donne che vivono ogni giorno il trauma della violenza. Quando dico che “ci si innamora della violenza”, non intendo romanticizzare la sofferenza, ma piuttosto sottolineare come in molti casi, la violenza diventa una sorta di ossessione che permea la vita, un vortice difficile da spezzare. La vita, in queste condizioni, sembra offrire ritagli che invitano all’oblio, a fuggire dalla realtà, a rifugiarsi nell’accettazione del dolore come parte del proprio esistere. Si cresce, come scrivo, “tra le labbra piene di fantasmi”, un riferimento alla memoria e alla psiche segnate dall’abuso, e la “liquida sorpresa”, che può essere intesa come l’illusione di poter trovare rifugio nel più profondo e intimo delle emozioni.
Nel mio libro, esploro come le donne, talvolta, si ritrovino a convivere con la violenza come parte integrante della loro vita, fino a perderne la consapevolezza. La violenza diventa un compagno di viaggio, un destino che sembra essere inevitabile, ma che non smette di ferire. Le parole che scrivo, “con nuovi passi, arma i luoghi”, riflettono il tentativo di trovare una via di uscita dalla spirale della violenza, pur senza mai dimenticare che i luoghi stessi (come la casa, la città, la società) sono spesso anche i luoghi di agonia, dove le donne continuano a subire oppressioni.
Ritornando ai luoghi possiamo chiederci: quanto è importante un rifugio per le vittime di violenza? Il rifugio, per le vittime di violenza, non è solo un luogo fisico di protezione, ma un simbolo di salvezza interiore, un’opportunità di ricostruire una vita che è stata frantumata. Nei luoghi di rifugio, come le case per donne in fuga dalla violenza, si offre non solo un tetto, ma anche supporto psicologico, legale e pratico, che permette di riconoscere e affrontare il trauma subito. È un processo lungo e difficile, ma necessario per garantire che le donne possano iniziare un percorso di recupero, di rinascita. Il rifugio, tuttavia, non è solo esterno. È anche emotivo e psicologico. Come la poesia di Antonia Pozzi suggerisce, trovare un luogo sicuro nella natura, un luogo che offre protezione e pace, rappresenta la ricerca di uno spazio dove la violenza non possa più entrare, dove l’anima possa respirare, rielaborare e guarire. È il concetto di spazio sicuroche è alla base della possibilità di resistenza alla violenza, e che il mio lavoro esplora. Non si può uscire dalla violenza senza un luogo dove ritrovare se stessi, senza un angolo di quiete dove ricostruire la propria identità.
In questo senso, la relazione tra le poesie di Antonia Pozzi e la mia si incrocia proprio nel riconoscimento del bisogno di un rifugio, che non è solo fisico, ma anche psicologico, emotivo e spirituale. La resistenza alla violenza, come suggerito da Pozzi, passa attraverso il movimento, la ricerca di un luogo da cui partire, un “cammino” che consente di liberarsi. Nella mia scrittura, la violenza diventa una condizione che soffoca la capacità di pensare a un futuro sereno, mentre il rifugio rappresenta il tentativo di riappropriarsi della propria vita, della propria forza, della propria dignità.
La violenza, infatti, può sembrare una catena difficile da spezzare, ma la ricerca di un rifugio, che sia fisico, simbolico o emozionale, è il primo passo verso la libertà. L’invito alla fuga, alla resistenza e alla ricerca di un luogo sicuro che si trova sia nelle parole di Antonia Pozzi che nelle mie, è una chiamata alla speranza. La speranza che, anche se il mondo esterno è velenoso e pericoloso, ci siano ancora spazi dove le donne possano respirare e ricominciare a vivere.