
«Quando sarò “lenta” non pensare che la mia sia mancanza di tempo, ma il suo contrario: è un eccesso di tempo. Quello che mi piace vivere in funzione di te»
(Darina)
Siamo tutti ben consapevoli di vivere nell’epoca del “fast”: fast food, fast news, fast life. Tutto corre verso una meta che sembra irraggiungibile, tutto si consuma in fretta. Persino le emozioni sembrano avere la scadenza stampata addosso.
In questo scenario, mi sembra brillare, come un faro nella notte, un’espressione inglese che ho scoperto di recente: old but gold. Vale a dire: vecchio, sì, ma prezioso, anzi, d’oro. Perché ciò che è vecchio non è detto sia superato: è radice, è memoria, esperienza, relazione. Vale oro.
Temo che le gemelle Kessler non la pensassero così. Ma non sono più qui per dircelo. Né io oso discuterne. Che la terra sia loro lieve. Amen.
Dicevo, il mondo ci spinge a inseguire il nuovo, a cambiare per non restare indietro, come se la novità e la velocità fossero sinonimo di progresso. Ma è davvero così? Forse dovremmo sostare un attimo e imparare dal bradipo: sospeso tra i rami, lento come una carezza, non corre né compete. Semplicemente vive. Da millenni. La sua lentezza non è debolezza ma strategia, una forma di armonia con il tempo e la natura. Anche se può percorrere appena quattro metri all’ora.
Noi, invece, sembriamo spesso prigionieri di un cronometro invisibile. Corriamo per fare di più, per avere di più, ma a quale prezzo? Non è detto che questo basti per essere di più. Di sicuro, la fretta divora la qualità, la profondità, la bellezza di quanto attraversiamo. Un libro letto in fretta non lascia traccia. Una conversazione sbrigativa non crea legami. Una vita vissuta di corsa non si gode: si consuma. Parola di maratoneta iperattivo.
Lamberto Maffei, per anni Direttore dell’Istituto di Neurofisiologia del CNR e Ordinario di Neurobiologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nel suo Elogio della lentezza ci ricorda che il cervello umano è una “macchina lenta”, progettata per riflettere, non per reagire in modo compulsivo. Dal suo punto di vista scientifico, la velocità è spesso nemica della comprensione e della saggezza. Recuperare il tempo per pensare è, secondo Maffei, un atto di libertà: significa sottrarsi all’idolatria dell’immediatezza e riconquistare la nostra naturale attitudine al ragionamento profondo. E avverte: «La lentezza è la condizione naturale del pensiero, la fretta è la sua malattia».
Mi sovvengono le parole di quanti mi esortano a rallentare, gente che mi ama e che io, di dura cervice, faccio fatica ad ascoltare.
È anche vero che, a mia volta, incomincio a scoprire la bellezza di vivere profondamente il tempo, per elaborarlo: sia esso abitato dalla gioia, dai dubbi, dalla paura o dalla felicità, obbedendo alla necessità di assimilare. È una particolare forma di amore, quella che vuole processare e integrare ogni piccola sfumatura e farla coesistere in unità. È uno slancio verso l’altrove: un cammino volto a conoscere, esplorare, attraversare, interiorizzare, penetrare e lasciarsi compenetrare. A volte il cammino pare farsi insopportabilmente lento, questo è vero, ma è in quei momenti che più si offre l’opportunità di addentrarci in ciò che siamo. Quando siamo lenti, stiamo amando più intensamente. Stiamo abitando tutto di noi. E quel tempo che è solo apparentemente sospeso, altro non è che attesa desiderante.
Forse, il segreto potrebbe essere saper coniugare lentezza e velocità, antico e nuovo, giovinezza e vecchiaia.
Magari potremmo provare a riformulare così il detto inglese: old but gold, slow but flow, fast but lasting. Ovvero (con licenza poetica): vecchio ma d’oro, lento ma che fluisce, veloce ma che resta.
Sì, è una foto di mia mamma, quella in copertina. Posso testimoniare che lei non si è arresa: fino al suo ultimo respiro.
Franz Kafka: «La giovinezza è felice, perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque conservi la capacità di cogliere la bellezza non diventerà mai vecchio».
Franco Arminio: «Sentire la vicinanza a tutto, il senso di gratitudine per tutto, dirsi: ah… c’è la panchina. Per me, è una letizia provvisoria nell’inquietudine quotidiana. Mi viene il sentimento oceanico, sento l’albero, la formica…».
Rabindranath Tagore:
«Quando ero giovane
la mia vita era come un fiore:
un fiore che lascia cadere
uno o due petali dalla sua ricchezza
e non ne avverte mai la mancanza
quando la brezza della primavera
viene a mendicare alla sua porta.
Ora, alla fine della giovinezza,
la mia vita è come un frutto,
che nulla ha da risparmiare,
e attende di offrirsi completamente
con tutta la propria dolcezza».



























Bravo Paolo. Adesso che sono in pensione da circa dieci anni dopo aver vissuto molto Fast adesso apprezzo i piaceri della vita Slow. Buona domenica
Grazie, Lorenzo. Buona lentezza!
La fretta non dà consigli
O Tempo, non spinger la mia schiena!
Non voglio camminare ad occhi chiusi
In questa landa di sopravvissuti,
Bruciando i bei momenti in assoluto
Per ritrovarmi vuoto di memoria
E stanco, coi capelli incanutiti;
Cogl’occhi che non san guardare indietro:
Il bello, che la fretta, avrà bruciato.
Non son rimasto come incorniciato
Di vuoto attorno, inibito e stanco.
Non spiego la ragione della fretta
Che mi portava in questo breve tempo
Verso una meta mai desiderata:
Da farmi ripensar sulla partenza?
Margherita di Savoia 23/11/25
Sublime
Grazie assai Paolo. Il sonetto è scaturito, dopo aver letto il tuo ultimo articolo che ho trovato interessantissimo. Salutoni e Serenità: un SS che nulla ha che vedere col passato…