
Lavorare così è offensivo
The way back – Perth 2023
Ciò che realmente necessita di una rivoluzione prima del carcere è il mercato del lavoro, dentro e fuori per tutti.
I salari italiani visti dall’Australia, sono indecenti. Non ci sono più altre parole.
La forbice fra i salari non è mai stata così inaccettabilmente alta. Il divario è indice di sottosviluppo.
Chiunque, anche un cameriere occasionale, dovrebbe poter risparmiare e invece non può farlo neanche un Dottorando. In Italia non risparmia neanche un ingegnere on un Avvocato al suo primo ingaggio.
È offensivo. Lavorare così è offensivo.
Sotto i cieli dell’Australia risparmia anche uno studente di scuola superiore con lavori occasionali. Qui risparmiano tutti.
No. Non è andata così. Nelle Case circondariali i giovani in carcere ci sono e l’età media è bassa. Sono spesso vestiti in tuta. Non sono mai in a glance glamour come gli attori di Mare Fuori. Ma nel carcere la bellezza c’è e appare sprecata. Giovani nel fiore dei loro anni buttati per mesi su letti a castello. Si aggrappano ad ogni attività per uscire da quei letti angusti, unico spazio individuale. Il bagno è nella cella e anche in quelle femminili non sempre c’è il bidet. D’estate si muore di caldo e per tre mesi le attività legate alla scuola languono.
La gioventù nelle Case Circondariali, che sono le più affollate, è spenta. Sono sempre tristi. Avviliti. Rassegnati. I più vitali hanno elaborato il vissuto e attendono la fine del trattamento.
La parte più vera e credibile di Mare Fuori sono i testi delle canzoni. Quelle non fanno sconti al pubblico. Sono verosimili e persino realistiche.
La bellezza accecante di tutti gli attori, no, no, non è andata così.
Anche quando sono belli e ce ne sono tanti nelle Case Circondariali dove l’età media è più bassa, la loro luce è spenta dallo squallore. Il carcere che conosco io è sempre molto dignitoso. Lo squallore è dentro gli occhi dei reclusi. Alcuni addirittura sono sottoposti ad una terapia antidepressiva. La terapia in carcere è una forma di pietà.
Al CPIA una volta una parente stretta era avvilita perché il suo congiunto era uscito a fine pena e avvertiva la carenza della terapia da cui aveva sviluppato una dipendenza. C’è da chiedersi, ma non dovrebbe subentrare subito il MMG (Medico di medicina Generale)? Evidentemente non sempre va così in modo immediato.
No. Non è andata così, canta Raiz. E come dargli torto? In quel verso c’è il mondo.
Mi occorreva una distanza per parlare di carcere.
L’Australia è la distanza. L’Australia è la distanza da tutto, non solo dal carcere.
Tutti quegli anni di osservazione nel CPIA hanno generato mille pensieri sui migranti e sui detenuti che prima o poi dovevano esplodere.
Quale luogo migliore di “quest’immensità in cui per poco il cor non si spaura” per fa esplodere, per ossimoro leopardiano, questa claustrofobia della detenzione in questo dove in cui lo spazio non può essere agorafobia ma solo poesia, bellezza pura, libertà, aria.
“Sovrumani silenzi, e profondissima quiete, io nel pensiero mi fingo ove per poco il cor non si spaura …. Così tra questa immensità si annega il pensier mio e il naufragar mi è dolce in questo mare.”
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle / e questa siepe che da tanta parte / De l’ultimo orizzonte il guardo esclude.” Il poema mi aggredisce per ordine sparso. La voce di quel poeta mi urge.
Quello che mi è caro oltremodo dell’Australia è l’orrore per le siepi “che da tanta parte dell’’ultimo orizzonte il guardo esclud[ono].”
Qui lo spazio è sacro e il vuoto viene esaltato dall’assenza totale di parapetti.
A Sydney il tram, sorprendentemente, attraversa le strade pedonali senza barriere di sorta. In Italia sarebbe una strage ma qui la vera barriera sono le regole che tutti rispettano.
“Ma sedendo e mirando interminati / Spazi di là da quella, e sovrumani / Silenzi, e profondissima quiete, / Io nel pensier mi fingo, ove per poco / Il cor non si spaura. E come il vento / Odo stormir tra queste piante, io quello / Infinito silenzio a questa voce / Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, / E le morte stagioni, e la presente / e viva, e l’suon di lei, così tra questa / Immensità s’annega il pensier mio: / E’l naufragar m’è dolce in questo mare.”
Ogni volta che torno in Australia, e questa è la terza volta, devo recitare questa lirica, e poi scriverla e poi rileggere i versi e poi ascoltare il suono delle parole.
È come se Giacomo Leopardi debba per forza essere stato qui.
Qui lo spazio, il vuoto, il silenzio e il buio danno dipendenza.
L’Australia so far away è la distanza per antonomasia.




























Esperienze interessanti ha vissuto questa dirigente
Grazie