
«Una nave attraccata al porto è più sicura, ma non è questo lo scopo per cui è stata costruita»
(William G.T. Shedd)
C’era una volta una rana che viveva in fondo a un pozzo. Quel pozzo era tutto il suo mondo: conosceva ogni pietra, ogni riflesso d’acqua, ogni eco. Era nata lì, cresciuta lì, e lì aveva insegnato ai suoi piccoli a vivere. Un giorno, una tartaruga marina si affacciò al bordo del pozzo. La rana, sorpresa, le chiese da dove venisse.
«Dal mare», rispose la tartaruga. «Un luogo senza muri, dove l’acqua non ha confini e la vita scorre libera».
La rana, incredula, cercò di misurare quel “mare” con i suoi salti. Ma ogni tentativo era vano.
«Non può esistere nulla di più grande del mio pozzo!», concluse infine, respingendo la tartaruga e il suo racconto come menzogne.
Non conoscevo né questo apologo cinese, la cui prima versione è attribuita a Zhuangzi e risale al periodo degli Stati Combattenti (453 a.C. – 221 a.C), né il concetto giapponese di ikigai, finché non mi sono imbattuto in un libro che mi ha sorpreso e ispirato: Succede sempre qualcosa di meraviglioso, di Gianluca Gotto. Un testo che ho già avuto modo di citare nel mio Parole, luce e follia, e che continua a regalarmi spunti di riflessione.
L’ikigai, ci insegna Gotto, è il nostro “perché”, la ragione d’essere, lo scopo della vita o ciò che ci fa svegliare al mattino con gioia. È l’incontro tra ciò che amiamo, ciò che siamo, ciò in cui siamo bravi, ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui possiamo essere ricompensati. È, in fondo, il mare della tartaruga.
A chi volesse intenderlo plasticamente, suggerisco di recuperare e vedere l’intervista che, lo scorso mercoledì 17 settembre, ha rilasciato a caldo Mattia Furlani, mentre versava un fiume di lacrime gioiose, subito dopo aver trionfato nel salto in lungo, proprio in Giappone, con al collo la medaglia d’oro dei Mondiali di atletica di Tokyo.
Sulla base di queste premesse, per chi è amante dei nostri Caffè, non sarà difficile immaginare su cosa mi stia interrogando.
Della serie: quante volte, nella nostra vita personale o professionale, ci comportiamo come la rana? Difendiamo, forse, il nostro piccolo mondo, le nostre abitudini, le nostre convinzioni, anche quando una “tartaruga” – un collega, un’idea, un cambiamento – ci invita a guardare oltre?
E quante volte, invece, abbiamo il coraggio di ascoltare, di uscire, di esplorare, di andare alla ricerca del nostro ikigai?
In quale mare lasciamo che nuoti la rana che è in noi?
Il pozzo è comodo. Il mare è incerto.
Ma solo nel mare possiamo davvero scoprire chi siamo, cosa desideriamo, chi amiamo, per chi o cosa vogliamo spendere la nostra vita.
Buona navigazione, serena nuotata, felice ricerca del tuo orizzonte: meglio se all’alba.
Albert Einstein: «La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre».
Rabindranath Tagore: «Non si può attraversare il mare semplicemente stando fermi e fissando l’acqua».
Eleanor Roosevelt: «Fai qualcosa che ti spaventa».


























