Intervista in esclusiva a Irma Melchiorre: «Non ho pensato di potercela fare. Mi è passata davanti tutta la mia vita in pochi secondi»

A molti ha ricordato la tragica serata dell’Heysel di Bruxelles, quando, nel 1985, 39 tifosi della Juventus persero la vita. Fortunatamente, stavolta, gli eventi hanno una preso una piega diversa, ma quanto successo sabato 3 giugno, in Piazza San Carlo, a Torino, ha davvero sconvolto tutti. Una fragorosa esplosione ha fatto scattare, ingiustificatamente, un allarme che ha generato panico e isteria di massa. Tra la folla c’era anche Irma Melchiorre, giovane ragazza andriese dalle cui parole traspare sgomento e sentimenti che mai avrebbe pensato di provare al fischio finale di una finale di Champions League.

Ciao Irma. Perchè hai deciso di seguire la finale di Champions da Torino?

Perché chi mi conosce sa quanto io ami la mia Juve… e per sentirmi “a casa” quale piazza migliore se non quella di Torino?

Il bilancio parla di 1527 feriti, tra cui un bimbo che verserebbe in gravi condizioni. Cosa hai pensato al momento del boato?

Più che altro a cosa non ho pensato. Non ho pensato di potercela fare. Mi è passata davanti tutta la mia vita in pochi secondi. Ero davvero convinta si trattasse di un attentato perché sentivo solo “correte, correte in fretta!”

Dicono che, durante gli attimi di panico, si perda lucidità. Come hai cercato di metterti in salvo nel fuggi fuggi generale?

Sì, ho perso davvero lucidità. Sono rimasta immobile pochi attimi, ma poi non ho fatto in tempo a correre. Sono stata travolta da una decina di persone; ho provato a rialzarmi, ma una signora si è aggrappata a me strappandomi la collana. Ricordo i suoi occhi pieni di terrore e la sua debole voce che mi chiedeva disperata di non passarle sulla schiena. Avevo il volto devastato dai vetri.

La Sindaca Appendino ha ricevuto molte critiche per la mancata sicurezza. Secondo te, quali misure si sarebbero dovute prendere in una situazione del genere?

Ah, guarda, critiche tante, a partire dal fatto che misure di sicurezza non ce n’erano. Appena sono arrivata in piazza sono state controllate le borse, ma non tutte. Addirittura dei ragazzi che abbiamo conosciuto durante la partita avevano zaini pieni di birre e bottiglie di amaro senza considerare anche chi vendeva bibite con i carretti. La piazza era già piena di vetri dal pomeriggio ed abbiamo avuto anche paura di esultare dopo il gol del pareggio. Non mi sono sentita protetta per nulla, mi aspettavo molti più controlli anche all’interno della piazza, ma, a parte qualche camionetta, io non ho visto nulla.

Cosa ti porti dietro da questa amara esperienza?

Mi porto dietro tanta rabbia e, soprattutto, paura. Come faccio a dimenticare tutto quel sangue? Di notte faccio fatica ad addormentarmi perché sento ancora le urla disperate di chi continuava a chiamare parenti e amici, di chi cercava di abbandonare la piazza trascinandosi. Sono rimasta in un angolo da sola per un’ora; avevo perso le mie amiche, avevo il cellulare scarico e l’unico pensiero era rivolto alla mia famiglia. Un ricordo terribile e doloroso di una città che ho sempre amato e a cui, con tanta tristezza, ora sento di dire: “Torino, a mai piu rivederci!”


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.