
Lo scorso 14 dicembre il Parlamento Italiano ha approvato le Disposizioni Anticipate di Trattamento di fine vita.
Si tratta di una legge molto attesa e discussa.
Abbiamo chiesto a uno uomo di scienza, a un giurista e a un teologo di proporci ciascuno il suo punto di vista.
I loro contributi meritano una lettura attenta e meditata: si tratta, infatti, non di meri articoli giornalistici, ma di approfondimenti di esperti che hanno fatto del rigore metodologico e dell’onestà intellettuale il loro abito.
Ai nostri lettori la facoltà di lasciare un commento sotto ciascuno dei loro contributi o anche sotto questa nota introduttiva.
Leggi il punto di vista dell’uomo di scienza
È una domanda scomoda perché presuppone di immedesimarsi in una situazione decisamente spiacevole ed esprimere una decisione comunque devastante. La scelta, per questo motivo è individuale, ma l’etica da quale parte si trova? La vita è l’unico bene che non si può acquistare. Chi può dirsene padrone?
Credo innanzitutto che su una tale faccenda sia necessario evitare toni stucchevolmente astiosi, provando invece un profondo rispetto per il doloro dei malati e di tutti i loro familiari; così come ritengo che il primo criterio morale per esprimersi su una simile tematica sia quello del rispetto della dignità umana.
Dei tre interventi pubblicati su Odysseo ritengo del tutto inutile quello dello scienziato, mai davvero entrato nel merito della questione rispetto al suo qualificato punto di vista, mentre quelli del giurista e del teologo li ho trovati molto interessanti e proficui, sebbene dissenta dalle conclusioni tratte dal teologo, anche in base alle argomentazioni da lui stesso sviluppate.
Venendo alla mie considerazioni personali, mi lasciano perplesso e schifato alcuni passaggi della legge approvata in via definitiva:
a) l’art.1 comma 5 che, per la vaghezza delle condizioni individuate, de iure e de facto spalanca le porte ad un’autodeterminazione assoluta dei pazienti, avverando la profezia del Promoteo scatenato di Hans Jonas, ovvero della creatura che presume di ergersi a Dio creatore della vita (non si può dare una lettura strumentale dell’art. 32 della Costituzione su questo punto);
b) l’assenza di un diritto esplicito all’obiezione di coscienza dei medici perché, proprio per la genericità della legge in merito alla non facile questione dell’idratazione e dell’alimentazione dei pazienti (da valutarsi caso per caso, e non aprioristicamente), può configurarsi il caso di eutanasia laddove si vada a sospendere la somministrazione non di cure, bensì di elementi basilari per l’esistenza stessa dei malati (cfr. Artt. 579 e 580 del Codice di Diritto Penale). Si è parlato di questa legge come civile, ma quale civiltà è quella che arriva a violare la libertà di rispettare la sacralità della vita? ;
c) l’obbligo per tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private, di applicazione delle DAT, anche qualora ciò confligga con i valori religiosi delle stesse.
Ritengo invece giusto e finanche ben poco evidenziato il rifiuto di ogni forma di accanimento terapeutico, ribadito nel testo di legge.
Conlcudo aggiungendo un elemento di discussione all’intero dibattito, ovvero che per quanto possano essere nefasta la previsione e probabilisticamente corrette le diagnosi fatte dai medici, questi sono uomini, e non Dio, per cui vi possono essere pur remote possibilità di errore, laddove, ad esempio, un paziente si risvegli anche dopo decenni da uno stato vegetativo.
(E’ singolare come in Italia i radicali, che quasi nessuno vota, si vedano approvate quasi tutte le leggi da loro volute ed in contrasto col rispetto della sacralità della vita).