Un’opaca vicenda metropolitana, dominata dal potere del denaro e dall’assenza di qualsiasi etica pubblica e privata, intrecciando la vita di singole persone, che finiscono per rimanere vittime di un gioco più grande di loro.  Questa la trama di “Quell’ anonima busta gialla” (Pav Edizioni), il quarto romanzo social thriller di Sabino Napolitano. A raccontarcelo è lo stesso autore:

      Ciao, Sabino. Cosa ti ha spinto a scrivere “Quell’anonima busta gialla”?

Per tutte le storie che scrivo, che si tratti di racconti o di romanzi, c’è sempre un elemento del mondo reale che fa scattare la scintilla dell’ispirazione. Un avvenimento, anche all’apparenza insignificante, una persona, per un qualsiasi motivo, una musica, un rumore possono darmi l’abbrivio necessario a scrivere. A volte, magari la mia immaginazione non riesce a produrre nulla e la cosa finisce lì; altre volte invece, il treno riesce a partire e allora si viaggia sulle ali delle parole e della fantasia. Nel caso di “Quell’anonima busta gialla” l’idea è nata dal mio ricordo della vicenda del Parco urbano di Punta Perotti, che fu edificato sul lungomare di Bari nella seconda metà degli anni Novanta. Io, naturalmente, non racconto quella vicenda e ogni riferimento ad essa che possa essere colta nel romanzo è da ritenersi puramente casuale, ma ho immaginato che un’opaca vicenda metropolitana, dominata dal potere del denaro e dall’assenza di qualsiasi etica pubblica e privata potesse anche intrecciare la vita di singole persone, che finiscono per rimanere vittime di un gioco più grande di loro.

      Perché hai scelto il social thriller come genere del tuo quarto libro?

Il mio romanzo d’esordio era un ‘action thriller’, mentre con i due successivi (Caccia all’uomo nero e Il passato non dimentica) ho dato inizio alla saga del commissario Sterlicchio. In realtà, il genere del ‘social thriller’ è scaturito dall’elemento di realtà (la questione di Punta Perotti) che ha ispirato la nascita della storia che racconto. Nell’occasione, ho fasciato un po’ in disparte il mio commissario Sterlicchio e ho affidato il ruolo di protagonista a Valerio Di Stefano, un (immaginario) ex-cronista di nera.

      Nella più completa assenza di etica, pubblica e privata, quale ragione    muove il giornalista Di Stefano ad indagare sfidando il potere del denaro e mettendo a rischio la propria incolumità?

Valerio Di Stefano è un giornalista nato. Ha sempre voluto fare sempre e solo quello. Per accontentare i desideri paterni, ha conseguito il diploma da ragioniere ed è pure riuscito ad avere un bel posto fisso in una banca locale. Appena ne ha avuta l’occasione, però, ha lasciato il suo posto fisso e ha seguito il suo sogno, all’inizio facendo piccole cronache sportive su piccoli e polverosi campi di calcio in provincia e poi si è occupato di cronaca nera alla Gazzetta (non so se del Mezzogiorno o della Sera o del Pomeriggio). In lui la ricerca della notizia però fa coppia fissa con la ricerca della verità e per questo ha sempre rischiato in proprio. Nella storia che racconto Valerio si troverà anche di fronte al dubbio di decidere fino a che punto sia giusto rischiare, se si rischia di mettere a rischio anche i propri affetti.

      A chi dedichi il romanzo?

Questo romanzo l’ho dedicato agli amici del gruppo “Quelli del Roxy”, anche se il bar dove ci incontriamo ogni giovedì mattina non è più il Roxy.


Fonte      Quell’anonima busta gialla
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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.

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