Eccoci

male in arnese

nei panni

di un Cristo

che spalanca le braccia

per spiccare un abbraccio,

assetato,

ma i chiodi premono

e le mani,

vibranti di desiderio

loro malgrado,

costrette, invece

al legno storto della creazione.

Per tutti noi quella tensione

scandalosa

è variazione del sogno

ricorrente

di una vita semplice

autentica

piena di sentimento,

inchiodati come siamo

alla piattezza del mondo.

 

I chiodi che il potere ha deciso

che i militari hanno eseguito

che gli astanti non hanno impedito.

 

Orfani di quell’abbraccio

scrutiamo l’orizzonte.

 

E camminiamo

accerchiati, vessati, abbandonati.

 

E la tensione di quell’abbraccio

è la poesia di noi resistenti.


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Oltre Sessanta passi, quasi cento dirai, creano un effetto spaesamento senza disegnare un profilo intelligibile. Confido dunque “nella bontà degli sconosciuti” che incontrerò lungo i prossimi passi e nella accidentalità degli accadimenti della vita per incedere, senza fretta, verso un approdo che porti a intravedere una rotta in queste traiettorie di cui ancora non si indovina una forma. Sì, per fortuna quell’abbozzo oggi è ancora un garbuglio del quale fatico a trovare un senso e intanto continuo a camminare e a giocare con le infinite possibilità che tutte le mie mosse forse un giorno lasceranno intendere.