
A pochi giorni dal Natale, una quinta classe gioca con parole ed empatia. La risposta di Martina — «non diventare come chi mi ha ferita» — diventa una lezione di trasformazione.
È quasi Natale.
In una quinta propongo un gioco di comunicazione ed empatia: ciascuno pesca da un mazzo una carta con una domanda da rivolgere direttamente al vicino o alla vicina di banco.
Il gruppo ci sta, prima timidamente, poi con più curiosità ed entusiasmo. E le risposte, inizialmente superficiali, diventano via via più pensate e profonde.
Arriva il turno di Giulia, che pesca la domanda per Martina: «cosa ti contraddistingue?».
Martina ci pensa un attimo.
Poi risponde: «Credo …il non essere diventata come chi mi ha ferita, come chi ha distrutto la mia vita». Restiamo in silenzio, poi il gioco va avanti. Ma io …è una settimana che sono ferma lì, a quella risposta, a quella lezione, una delle più belle di sempre.
Martina non è suo padre, che ha devastato la sua infanzia. Martina non è il patrigno, che ha invaso il suo presente e quello di sua mamma con l’alcolismo. Martina è altro e lo sa. E quanto è cresciuta in questi anni: era schiva, chiusa, trincerata nel giubbotto all’ultimo banco, della classe e della vita; adesso cammina sicura di sé, sorride, racconta, studia, sta per diplomarsi e sogna il suo futuro.
Il punto è proprio questo: trasformarsi.
Nel dolore più acerbo, nel diritto di odiare, nella tentazione di pretendere tutto in virtù del male ricevuto, elevarsi.
Nella richiesta di giustizia, di chiarezza, di confronto, restare radicati nell’umanità più autentica.
Non diventare come chi ci ferisce a morte. Soprattutto, non farlo se si ha chiara consapevolezza delle proprie ferite. Sia mai che, criticando gli aguzzini, finiamo col diventare peggio di loro. E a poco serve limitarsi a piangere per la scomoda eredità ricevuta. Le parole aiutano: etimologicamente erede è sia chi possiede (dalla radice indoeuropea ghar-), sia chi se ne va, lascia andare e abbandona (dalla radice sanscrita ha). Dunque, se proprio non si riesce a diseredarsi, si può restare eredi, ma in un altro senso. Si può ereditare il desiderio vivo di essere e di fare la differenza, interrompendo i cicli tossici e inaugurando circoli virtuosi, quelli dai quali i nostri figli e nipoti non vorranno mai diseredarsi, quelli per i quali saranno orgogliosi di essere nostri eredi.
Non trovo altro senso per il Natale.
Non trovo altro augurio se non questo: diventare luce nel buio. Che è poi quello che racconta l’albero di Natale, il sempreverde che, nel bel mezzo dell’inverno e del buio, brilla per ricordare la forza del bene.
Tanti auguri!




























Grazie per questo intenso e vero augurio.
….portare luce nel buio😘