
«I numeri primi sono ciò che rimane una volta eliminati tutti gli schemi: penso che i numeri primi siano come la vita. Sono molto logici ma non si riesce mai a scoprirne le regole, anche se si passa tutto il tempo a pensarci su»
(Mark Haddon)
E mi rendo conto, non sempre e non continuativamente, che il tempo scivola e per esserne certa, spesso, devo passare attraverso volgari scadenze a cui non ero abituata a pensare e senza le quali sono sempre convinta si viva meglio.
Alcune di queste sono ineludibili per le persone per bene e parlo di scadenze basiche, come quelle delle bollette, per intenderci.
No, non pensate io non le pagassi: le ho sempre pagate tutte (e non solo quelle), fino all’ultimo centesimo e mai con ritardo. Solo che le scadenze volgari le lasciavo passare sul conto corrente, attraverso gli accrediti del mio sudatissimo e normale stipendio da insegnante, senza stare troppo a pensarci.
Fino a che non ho dovuto iniziare ad incasellare tutta una serie di cose in schemi che, fossero stati fatti davvero bene, non sarebbero stati miei.
Chi nasce tondo, del resto, non può morire quadrato, ma può tendere un pochino verso gli angoli.
Allo stesso modo io: non imparerò mai a riordinare tutto in quei ripugnanti quadratini di Excel; non imparerò mai a leggerli, nemmeno con gli occhiali dei presbiti o, a dire il vero, non mi concederò mai il brutto sapore della resa davanti a quelle tabelle che continuo a trovare ignobili e di bassissima levatura.
Solo di certe cose, come di quegli schemi, ho imparato a vedere la mera utilità, nello stesso istante in cui mi sono lasciata tagliare dalla doppia lama dei coltelli degli esperti in materia: ho imparato bene che chi sa incasellare con la naturalezza che io uso per mettere le parole una dietro l’altra, sa anche rubare sembrando onesto. E poco importa se si tratti di rubare patrimoni, rubare tempo, rubare libertà. Rubare si legge rubare, rubare significa rubare, rubare è solo quello: rubare. E sempre con la forza dello schema. Inoppugnabile. Eppure fallace, in pochissimi punti, impercettibili variabili che però, per quanto infinitesimali, sempre errori passibili di eccezione restano.
E così qualcosa si deve imparare, se da tondi non si è nati ottusi.
Beh, io ho davvero una quantità enorme di difetti, ma posso giurare di non essere ottusa, nemmeno con le scienze dure, nemmeno quando non le capisco o mi ostino pur di non capirle. Di contro, non sarò mai acuta.
Anche gli angoli hanno dei nomi per un motivo, non sono pizze e fichi.
In sostanza è come quando, con spudorato ardire, mi hanno spiegato un concetto random di matematica finanziaria: ho capito che 2+2 fa 4 e so bene di aver capito poco. Però ho imparato che capire poco è sempre, sempre, sempre meglio di non aver capito niente.



























