“…a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola”

Nâzım Hikmet-Ran è stato il più importante poeta turco del Novecento. Solo nel 2002, centenario della sua nascita, il governo turco gli ha restituito la cittadinanza toltagli nel 1951 con l’accusa di marxismo, il partito comunista in Turchia viene dichiarato illegale nel 1928 circa, e per aver denunciato pubblicamente i massacri in Armenia nel periodo tra il 1915 e 1922: finirà per cinque anni in carcere tra il 1928 e il 1936, periodo in cui scrive cinque raccolte di versi.

Nel 1938 viene nuovamente arrestato, condannato a 28 anni di carcere, con la inconsistente accusa di aver incitato la marina turca alla rivolta: l’ignoranza e la dittatura vollero leggere cose mai scritte nel suo poema “L’epopea di Sherok Bedretti” che racconta della rivolta dei contadini contro l’impero ottomano nel 1500.

Ne trascorre in una cella circa 15 di anni, in cui scrive alcune tra le sue più belle poesie. Una commissione internazionale composta da Sartre e Picasso, insieme ad altri celebri autori, ne chiede la scarcerazione, anche a seguito di un attacco cardiaco che quasi lo uccide, riuscendo ad ottenerla nel 1949. Deve però fuggire a Mosca perché il governo Turco lo considera politicamente e socialmente pericoloso, un nemico pubblico.

È nato giovedì 20 novembre 1902 a Salonicco in Grecia e morto lunedì 3 giugno 1963, a 60 anni, a Mosca in Russia.

Ho letto il libro di Nedim Gursel pubblicato nel 2011, autore turco e insegnante in una facoltà francese, l’Angelo Rosso, una biografia carismatica, romanzata, di Hikmet e che attraverso l’invenzione quasi cinematografici di un dossier ceduto da una ex spia della Stasi, organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca o Germania dell’Est, restituisce un uomo prima che un poeta dedito alle donne, donnaiolo sarebbe spregiativo, incline al domandarsi che senso ha soffrire e quando gli uomini si fideranno gli uni degli altri.

La dedica del libro recita: «A Nazim Hikmet, precursore dei “bei giorni” che non sono mai venuti».

Ha avuto una vita avventurosa, increspata di avvenimenti spiacevoli ma penso non volesse rinnegare nulla di ogni singolo dolore che potrebbe avergli trafitto il cuore dal battito incerto: perché anche la sua vita non era uno scherzo, doveva prenderla sul serio come avrebbe fatto uno scoiattolo senza aspettarsi nulla. Non aveva altro da fare che vivere seppure tra altri uomini il cui intendo era quello di distruggere le prove di un mondo migliore con la brutalità, la tirannia, la soppressione.

Ci ha invitato a piantare degli ulivi, non perché restino ai nostri figli ma per allontanare la morte e credere nella vita.

Alla vita

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla é più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

Nazim Hikmet


1 COMMENTO

  1. lA POESIA “ALLA VITA” DI NAZIM Hicmet mi ha emozionato, perché, quando mi sposai, lessi con il prete del dissenso Don Marco Bisceglia di Lavello, allontanato dalla chiesa istituzionale per la sua attenzione ai poveri, la poesia di Hicmet “Prima di tutto l’uomo”, l’ultima dedicata al figlio.
    Certamente la conosci, ma mi fa piacere fartela evocare.
    Prima di tutto l’uomo (ultima lettera al figlio)
    Non vivere su questa terra
    come un estraneo
    e come un vagabondo sognatore.

    Vivi in questo mondo
    come nella casa di tuo padre:
    credi al grano, alla terra, al mare,
    ma prima di tutto credi all’uomo.

    Ama le nuvole, le macchine, i libri,
    ma prima di tutto ama l’uomo.
    Senti la tristezza del ramo che secca,
    dell’astro che si spegne,
    dell’animale ferito che rantola,
    ma prima di tutto senti la tristezza
    e il dolore dell’uomo.

    Ti diano gioia
    tutti i beni della terra:
    l’ombra e la luce ti diano gioia,
    le quattro stagioni ti diano gioia,
    ma soprattutto, a piene mani,
    ti dia gioia l’uomo!

    Dalla tua biografia ho appreso che ti interessi di teatro, ebbene un mio amico di Napoli è un critico teatrale, per me di grande valore, letterario ed umano, anche perchè amico del pittore bafrlettano Paolo Ricci che nella sua casa di Napoli ospitava Pablo neruda e Nazim Hicmet. Se sei interessato posso mettesrti in contatto.
    Se sei interessato puoi chiedere a Paolo Farina il mio recapito digitale. Grazie. Domenico

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