Difficile commentare. Doveroso provare a farlo. “Grazia e Roberto, cari, chi è genitore intuisce, anche se solo in parte, il grido di dolore di Michele e la vostra immensa sofferenza”

Se n’è andato Michele Valentini. Amaro epilogo di un percorso di riflessione e dolore. Troppo, per la sua squisita sensibilità. Non voleva più soffrire. Non poteva. Disilluso, era stanco di aspettare, anzi era “stufodi una vita, che gli era negata, come quando il cancro o la Sla si accanisce contro un paziente, che dolente si rivolge all’eutanasia. Voleva essere protagonista della propria vita e non intendeva vendere a prezzo stracciato la sua dignità.

A venirgli in aiuto una corda. Da giorni l’aveva osservata, riluttante. Poi, alla fine s’è deciso. Pur sapendo di arrecare un dolore straziante a persone che amava alla follia. L’ha raccolta, gli è caduta di mano, l’ha raccattata di nuovo, si è lasciato avvinghiare la gola. Docilmente.

Altre erano le carezze che lui si aspettava dalla vita. Aveva atteso per tanti anni, ma nessuna mano scivolava calda lungo il suo collo irrigidito, palpeggiava il cuore generoso, assecondava la fervida immaginazione. Allora, si è rivolto all’umile fune di canapa, i cui fili, loro, vivono e lavorano intrecciati saldamente. In comune. Lei non gli ha sbattuto la porta in faccia. Né gli ha lasciato lividi.

Rapidamente il cielo di Udine, che pure era uggioso nei giorni precedenti, indossa drappeggi di lutto. Le nuvole, ovattate, trattengono a fatica la pioggia. La luce, soffusa, non ha la forza né la voglia di sprizzare salute sulle cose, gli animali, gli uomini. Il vento, svogliato va avanti e dietro, cambia direzione. Dalle pendule foglioline di lecci e cipressi cadono stillanti goccioline di rugiada. Opaca. I rami nudi degli ailanti si protendono verso il cielo spalancando numerose mani aperte e pregano sommessamente.

La parte della città, che ascolta il respiro degli altri, sgomenta, angosciata, ripiegata su se stessa, strabuzzando gli occhi, riflette e si interroga con ansia: “Che succede? Un giovane, un ragazzo dell’età dei nostri figli, getta la spugna! È troppo! Che mondo è questo? Dove sta il progresso? Dov’è la democrazia? Che senso ha la vita?”

Gli amici dei tanti inciampi e scorribande, raggomitolati nel dolore, lo piangono con impetuose lacrime. Si tormentano, si rammaricano di non essergli stati vicino a sufficienza, di non avere compreso la profondità delle sofferenze che gli crepavano il cuore. Non potevano nulla, loro, contro le cause che hanno scatenato la decisione di Michele. I più avveduti si rendono, però, conto che avrebbero dovuto curare il proprio vissuto, ma anche coinvolgere la fragilità di chi non doveva neanche per un attimo rimanere solo.

Altra gente, i cui cuori si trascinano stancamente in orizzonti angusti, è letteralmente indifferente, ha cose ben più importanti a cui prestare attenzione, la roba, innanzitutto, il prossimo derby, la partita a carte, lo shopping, il festival di San Remo, le appassionanti telenovele alla televisione pubblica oltre che a Sky, Mediaset, Netflix. Le slot machine, la carne mercenaria e le magiche polverine che obnubilano le coscienze e mantengono in vita un PIL alla canna dell’ossigeno.

I criminali di ogni risma, condizione culturale e classe sociale sghignazzano. Se la ridono, come avviene durante tutte le tragedie, anzi creano le condizioni perché la gente soffra e pianga, perché la natura sia piagata, segata, bruciata, avvelenata dai rifiuti tossici. Ungono le ruote della mala politica e mala sanità. Subappaltano. Pagano in nero. Evadono le tasse. Delocalizzano altrove. Dove la manodopera costa meno di un gelato, dove mancano controlli, dove gli imprenditori impunemente possono fare tutto quello che vogliono, dove le tasse non esistono per i potenti e… manca il cibo, la sanità e l’istruzione per la gente. In Patagonia dove i nativi Mapuche si ribellano agli usurpatori delle loro terre, i Benetton, industriali di successo, gestori di autostrade pubbliche italiane, blanditi con risorse sottratte ai cittadini non appena biascicano qualche sillaba.

Grazia e Roberto, i suoi genitori, affranti, non si danno pace. Il mondo è crollato addosso. Non ha più senso vivere Intuiscono da subito, la ragione di fondo della dolorosa scelta del figliolo. Come tutti i genitori, che amano le stelle proprie e quelle altrui, avevano investito i loro sudati risparmi, gli affetti e le speranze nel futuro del proprio amato pollone, perché svettasse alto nel cielo, senza far ombra a nessuno, neanche alla più minuscola erba.

Non si danno pace, rovistano dappertutto per trovare una conferma all’assillo che non dà loro tregua. Stremati dalle ricerche, quando già stanno sul punto di desistere, rinvengono nella tasca di una giacca estiva assieme alla carta d’identità una lettera-testamento. E’ un urlo più sanguigno del cielo di Munch. Una denuncia straordinariamente lucida ed accorata ai quattro venti della propria amara esperienza personale e di quella di un’intera generazione senza futuro. In più, un’allarmante previsione del futuro dell’umanità, che fa accapponare la pelle: “Le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente.”

Passano al Gazzettino veneto il destabilizzante messaggio, che diviene virale. Non cercano esposizione mediatica, vogliono semplicemente offrire un servizio di consapevole allerta alla collettività. Che la tragedia serva. Che nessun altro ragazzo si senta abbandonato, che nessun genitore pianga. Testate cartacee o digitali riportano la lettera manoscritta.

Nei talk show si accomodano psichiatri e psicologi, sociologi ed economisti, oltre agli abituali opinionisti impegnati a tempo pieno a discutere inutilmente. Il consueto chiacchiericcio, che discetta sul problema sfiorandolo, come fa la luna con la Terra, da chilometri di distanza, snervando chi ama gli alberi, riconosce il vento, protegge coccinelle ed api.

Un passo indietro. Con il diploma di grafico in tasca, pieno di salute e di entusiasmo, con occhi sognanti, Michele si siede alla scrivania ed elabora il curriculum da inviare ad un elenco sterminato di aziende. Lo impreziosisce graficamente. Lo rende più bello di una rosa. Ne viene fuori un capolavoro. Lo rimira, canta, ci danza intorno, ne è fiero. Gli occhi mandano bagliori di entusiasmo, e la contentezza trasuda da ogni poro.

Moderna è la sua professione, e spendibile, ad ampio spettro, per i quattro cantoni. L’inglese lo conosce bene, quindi, si dilatano all’infinito le potenzialità di assunzione, in Italia od anche all’estero anche se quest’ultima opzione non è esaltante per il forte attaccamento alla terra degli antenati, per il bisogno di restituirle con il lavoro tutto l’impegno profuso dalla gente del territorio alla sua maturazione, umana e culturale.

Cullava quel sogno da quanto gattonava per la casa, portando in groppa la convinzione che ogni cosa ha bisogno d’esser vista, ammirata e curata. Era bravo nell’ideare e disegnare, nel progettare ed eccelleva anche nell’amare persino un “cane zoppo”, una ciabatta abbandonata e l’erba spontanea scaturita tra le commessure di basole. Non gli bastava il raffinato disegno esteriore, mirava ad introdurne vita autentica, come quella che desiderava per sé, per i cavalli, le mucche, i suini, le nuvole eteree e le foglie secche.

Gli insegnanti erano convinti che si sarebbe affermato nel mondo del lavoro. Perché di stoffa ne possedeva, a fiumi, dai pesci guizzanti. Poi, era caro, quel ragazzo, grilli per la testa non ne aveva. Gli piaceva ridere con gli amici, passeggiar di giorno, lasciandosi inondare dal sole, e sfiorare nella notte fonda le stelle con le dita.

Ritornando alla lettera. E’ una persona straordinariamente sensibile Michele, un bravo ragazzo, ma le esperienze di vita lo convincono che la sensibilità non viene minimamente apprezzata dalla società, avvezza persino a sbeffeggiarla. Come anche “non premia i talenti, svillaneggia i sogni”.

Il giorno seguente all’inoltro delle mail, trepidante, Michele scruta il proprio recapito digitale. Pubblicità, news, sondaggi, confidenze di qualche amico. Insomma, in prevalenza spam, a tutto spiano. L’indomani non cambia, la musica, e neanche nei seguenti giorni. Nessuno degli interpellati risponde, ancora. Poi, finalmente, cominciano ad arrivare mail da aziende. Le apre con il cuore in gola, ma deve accasciarsi sulla sedia nel leggere testi più o meno simili: “Siamo spiacenti. Per il momento, il personale dell’azienda è al completo, non appena matureranno le condizioni, la terremo presente.” Un modo burocraticamente garbato, per rispondere. Nella sostanza, però le porte vengono sbattute in faccia. Tantissime volte.

Nota sottecchi, Michele, col passar del tempo, che alcuni coetanei, anche meno valenti di lui, facilmente trovano lavoro. Lui rimane al palo. Hanno importanti conoscenze loro, sono figli di papà, ammanigliati a quelli che contano, abili nel farsi gli affari propri, calpestando diritti degli altri. Cinicamente. Di vender l’anima a loro non gliene importa, ma lui non vuole rinunciare alla propria dignità. Intende essere una “brava persona”, “cerca di darsi un senso ed uno scopo, usando le sue risorse.” Per la mancanza di lavoro, non può neanche coinvolgersi in una impegnativa relazione sentimentale.

In attesa che arrivi Godot, subentra pian piano la nausea, si insinua, infido, il mal di vivere, prende stabilmente dimora in lui una depressione di sconforto che lo getta nell’abisso della disperazione. Alla fine, il ricorso alla corda diviene ineluttabile. Una via di fuga o un’agognata meta? “Chi sei tu per giudicare”, sussurra papa Francesco.

Grazia e Roberto, cari, chi è genitore intuisce, anche se solo in parte, perché non è direttamente coinvolto, il grido di dolore di Michele e la vostra immensa sofferenza. Vi ringrazia, quindi, per il coraggio manifestato nel diffondere amare riflessioni e sentimenti che non sbarrano la porta alla speranza, ma inchiodano ciascuno alla propria responsabilità personale.

Anche alla tua, Mimmo. Sei infatti rimasto sgomento e profondamente amareggiato e ti sei chiesto, strattonandoti l’anima: “Mimmo, che hai fatto, tu, nella vita perché Michele, che porta lo stesso nome di tuo figlio e tiene l’età della figlioletta Silvia, imboccasse una strada inerbata e spumeggiante di fiori? Conservi ancora la capacità di amare, di sognare, di sdegnarti e di ribellarti? Assieme agli altri! Impegni consapevolmente un po’ del tuo tempo, perché ad un’intera generazione si offra un’esistenza normale, si aprano inedite prospettive? Che fai perché un domani non molto remoto l’intero pianeta non venga strozzato e soffocato dalla corda del neoliberismo selvaggio, dell’abiezione morale, civile e politica?”

Si è catapultato, allora, nei tuoi pensieri il tuo conterraneo, maestro di vita e di cultura, Gaetano Salvemini, che in piena notte, durante il terremoto di Messina del 1905, perse quattro figli, la moglie ed i suoi libri. Lui si salvò appendendosi fortunosamente alla tenda della stanza da letto, mentre il pavimento crollava sotto i piedi. Dopo quella tragedia immane ogni notte urlava alla luna di ogni continente il suo strazio, ma di giorno era perennemente sulla barricata ed arringava giovanissimi ed adulti di ogni età:

“Un fatto solo è sicuro:

tra i fattori dell’avvenire

esiste anche la nostra volontà,

la nostra azione,

la nostra testardaggine…

Solo chi si arrende ai fatti compiuti

non troverà nulla

perché non vi avrà messo nulla”.


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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.