Nel nome della verità

Gli anni 90 hanno conosciuto una serie di cambiamenti decisivi e importanti nell’assetto della geopolitica mondiale, segnata dalla fine della Guerra Fredda e da numerosi conflitti che hanno insanguinato diverse regioni del mondo.

In quegli anni tanti giornalisti, coraggiosi testimoni della verità, partivano per raccontare ciò che accadeva. Molto spesso, ai pericoli della guerra, si aggiungevano le difficili condizioni ambientali che rendevano complesso un resoconto già fatto di morte e di fame, di privazione di diritti e ingiustizie.

Tra i fronti di guerra più cruenti molti ricorderanno quello somalo, una guerra nata dapprima come rivoluzione intenta a rovesciare il potere di Siad Barre, che dal suo esilio in Kenya continuava comunque ad influenzare il conflitto, poi protratta dagli innumerevoli signori della guerra.

Chi ha raccontato questa guerra e tutti i risvolti ad essa legata è stata Ilaria Alpi, giornalista del Tg3, che aveva lavorato per L’Unità e per Paese Sera.

Ilaria è stata inviata di guerra in diversi contesti bellici, come il Medio Oriente e i Balcani. Con la Somalia aveva un rapporto privilegiato, a tal punto da recarsi a Mogadiscio e dintorni per ben sette volte.

Era ben cosciente dei pericoli e delle insidie che le polverose strade somale tendevano ma spesso ripeteva a chi le chiedeva ragione di quei viaggi che in “Somalia è vero si rischia la vita, ma ci si sente vivi.”

Sentirsi vivi fa rima con la voglia di verità, l’unico scopo che ha mosso Ilaria a lasciare il nostro paese per capire i motivi che sottendevano ad una guerra sanguinosa e fratricida. Laureata in lingua araba, conosceva benissimo le dinamiche e i costumi del mondo islamico, i suoi pregi ma anche i suoi difetti, come la condizione sfavorevole che vivevano le donne somale, costrette all’arcaica e umiliante pratica dell’infibulazione, che ancora oggi segna il destino di tante donne africane, che rischiano la vita a causa di infezioni. I tagli vengono spesso praticati senza anestesia da medici o persino da donne anziane senza alcuna competenza con una lametta sporca, un pezzo di vetro o con un sasso appuntito. Opporsi a questa mutilazione genitale significa per le ragazze somale segnare anche la propria vita, già dolorosa, vedendosi chiudere la possibilità di essere mogli, di formare una famiglia, avere l’unica ricchezza che garantisce nella stragrande maggioranza dei casi questa terra.

Ilaria l’aveva denunciato, come aveva fatto accusando la Shifco, Somali High Seas Fishing Company, che operava in tanti porti europei in attività illecite, come il traffico di rifiuti tossici.

A Marzo del 1994 la missione dell’ONU in terra somala chiudeva i battenti.

Ilaria voleva esserci, soprattutto per terminare il lavoro che aveva iniziato, l’inchiesta che la teneva ancora legata a Mogadiscio e a Bosaso.

Ma RAI 3 in quel periodo aveva ridotto il budget per le trasferte e richiedeva ai suoi inviati di testimoniare con ricevute le spese effettuate. Massimo Loche (Rai 3) poté garantire una cifra di tre milioni che Ilaria ritenne irrisoria per dieci giorni in Somalia. Inoltre non gli poteva dare un operatore per le riprese e le interviste.

Ilaria non si arrese alle difficoltà.

Con la velocità della luce del suo pensiero arrivò alla persona che l’avrebbe accompagnata in Somalia, un certo Miran Hrovatin, italo-sloveno di Trieste, che aveva conosciuto a Belgrado durante le manifestazioni contro il regime di Slobodan Milošević. Miran era un inviato esperto, conosceva le guerre e la sofferenza della gente e da tempo diceva di voler “andare al caldo”. Aveva patito infatti il freddo glaciale e la neve della guerra in Bosnia.

Non ci mise molto a dare una risposta a Ilaria, l’Africa era un’occasione davvero importante.

I due partirono per Mogadiscio la sera dell’11 marzo 1994 su un rumoroso

C130 dell’Aeronautica Militare. Oltre al cerimoniale che chiudeva la presenza italiana in Somalia, Ilaria aveva un obiettivo chiaro: andare in fondo nella sua indagine sul traffico di rifiuti e sul traffico d’armi.

Con il suo operatore intervistò il sultano Moussa Bogor per fare ulteriore luce sui vari traffici illegali che riguardavano il paese orientale dell’Africa.

Di quella intervista, contraddistinta da un’atmosfera relativamente cordiale e a tratti leggera, è rimasto uno stralcio di tredici minuti, dove il sultano parla spesso della situazione locale, del “collasso”, della crisi che ha coinvolto il suo paese. Il momento clou del colloquio ruota attorno alla figura di un certo Mugne e alle operazioni della Shifco.

Questa intervista, quel che rimane, può essere vista su YouTube.

Il giorno 20 marzo era quello del ritiro del contingente italiano dalla Somalia.

Ilaria e Miran caddero vittime di una crudele imboscata. Dagli studi di Quelli che il calcio un giovane Fabio Fazio passò la linea al TG3 per un’edizione speciale condotta da Flavio Fusi che, con voce incrinata dall’emozione, diede la tragica notizia :”Buonasera, edizione straordinaria per una notizia tragica che colpisce tutti noi della Rai, in particolar modo noi del Tg3. Una nostra collega… una nostra amica… Ilaria Alpi è stata uccisa pochi minuti fa, non più di un’ora fa a Mogadiscio. Insieme a lei è stato ucciso un altro collega… un altro nostro collega, un altro nostro caro amico, l’operatore che l’accompagnava.”

Ilaria aveva trentadue anni, Miran Hrovatin quarantanove.

A trentuno anni di distanza il caso resta irrisolto.

Rimangono impuniti i mandanti e gli assassini della giornalista e dell’operatore, mentre l’unico condannato è stato dichiarato poi innocente in sede di revisione del processo. I suoi genitori, Giorgio e Luciana, hanno combattuto con tutte le loro forze per cercare la verità, fino agli ultimi giorni di vita.

Ilaria ha rappresentato un esempio coraggioso di donna e giornalista, che non si è fermata di fronte alla crudeltà della guerra e che ha combattuto per la libertà e per la giustizia. Lo ha fatto con la forza delle sue parole, con tenacia, con la voglia di stare tra la gente, tra le donne che soffrivano per la guerra e per la loro condizione, perché come spesso lei amava ripetere “non c’è libertà senza verità. ”