LA PRIMA LADY DI FERRO

Parlare di Golda Meir significa riferirsi alla triste attualità di un conflitto che dura ufficialmente dalla fine della seconda guerra mondiale. Tra i firmatari della dichiarazione di indipendenza del 14 maggio del 1948, atto di nascita dello Stato ebraico, compare proprio lei, donna forte e intelligente, che ha segnato un segmento importante della storia di Israele.

Golda Meir, al secolo Golda Mabovič, nacque a Kiev il 3 maggio 1898 da genitori di origine ebraica. La sua infanzia fu segnata dalle manifestazioni di intolleranza che venivano perpetrate nei confronti degli ebrei. Suo padre era costretto a rinforzare le finestre per evitare un possibile pogrom e questo costante e impellente pericolo convinse la famiglia Mabovič a lasciare l’Ucraina per trasferirsi negli Stati Uniti, paese che diede la dignità che la famiglia cercava, così come ebbe a dire suo padre nel momento in cui tutti i componenti si ricongiunsero: «Sembri finalmente un essere umano».

I Mabovič vissero a Milwaukee, dove Golda studiò e spiccò per la sua intelligenza, nonostante non conoscesse bene la lingua. In disaccordo con i genitori, che non volevano farla studiare, si trasferì a Denver da sua sorella dove conobbe il suo futuro marito Morris Meyerson, con il quale, dopo il matrimonio, decise di trasferirsi in Israele, in un kibbutz :”Credevamo anche, io con cieca fiducia, Morris un po’ meno -, che il tipo di vita del kibbutz potesse offrirci più di ogni altro il mezzo di esprimere noi stessi come sionisti, come ebrei e come esseri umani.”

La nascita del primo figlio Menachem e la malattia del marito costrinsero i Meyerson a trasferirsi a Gerusalemme, anche se una volta Golda fece ritorno per un breve periodo nel kibbutz “per ritrovare se stessa.” A Oriana Fallaci parlò una volta del suo amore per questa forma di convivenza comunitaria: “Vede, non c’è niente che io abbia amato come il kibbutz. Del kibbutz a me piaceva tutto: il lavoro manuale, il cameratismo, i disagi.”

In Israele il suo impegno politico si fece concreto e divenne prima segretaria dell’Unione delle donne lavoratrici, poi aderì al partito dei lavoratori. Intervenne alla Conferenza Internazionale dei profughi come osservatore esterno proveniente dalla Palestina, esperienza che le lasciò tanta delusione, espressa senza mezzi termini nelle sue memorie : “«Ma lo sapete che questi “numeri” sono esseri umani, gente che può essere condannata a trascorrere il resto della sua vita in campi di concentramento o vagando per il mondo come lebbrosi, se voi non li lasciate entrare in Palestina?». Ovviamente, allora ignoravo che quelli che attendevano i profughi da nessuno voluti non erano campi di concentramento, bensì le camere a gas. Se l’avessi saputo, non avrei potuto restarmene là, un’ora dopo l’altra, seduta disciplinatamente ed educatamente.”

Nel dopoguerra, all’indomani della nascita dello Stato di Israele, Meyerson vide accrescere la sua stella politica: nel 1949 entrò nella Knesset tra le file del Mapai e nel 1955 si candidò a sindaco di Tel Aviv, non venendo tuttavia eletta. Nel frattempo con la morte del marito Morris cambiò il cognome da Meyerson a Meir, che in ebraico significa “dare luce, illuminato”.

La svolta fondamentale nella sua carriera politica avvenne nel 1956 quando fu nominata ministro degli esteri, ruolo che sicuramente le fece aumentare il consumo di sigarette e caffè, di cui era notoriamente dipendente, soprattutto all’indomani della Crisi di Suez, nella quale Israele fu tra gli attori principali.

Un linfoma la costrinse al ritiro ma la chiamata del partito laburista la rivide sulle scene della politica.

A coronare una carriera di altissimo livello ci fu la nomina a primo ministro d’Israele, ultimo ad essere nato fuori da Israele, prima e ultima donna al comando.

Furono anni complicati quelli che visse.

Dopo un periodo favorevole dal punto di vista della popolarità dovette affrontare il dramma dell’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 nel quale undici componenti della squadra olimpica israeliana furono tenuti in ostaggio e poi uccisi da un commando di Settembre Nero. La Meir autorizzò il Mossad – il servizio segreto israeliano – a dare il via all’operazione Collera di Dio che colpì tutti i responsabili dell’attentato, membri del gruppo terroristico e dell’OLP, ma coinvolgendo anche alcuni innocenti. La guerra dello Yom Kippur, scoppiata nel 1973 nei giorni dell’importante festività ebraica, fu un altro momento nevralgico nel suo mandato da primo ministro. Colto di sorpresa dall’attacco egiziano e siriano, l’esercito israeliano riuscì a ribaltare l’esito del conflitto. La Meir fu criticata aspramente, ma un’inchiesta successivamente la considerò esente da qualsiasi responsabilità poiché le sue decisioni garantirono a Israele l’aiuto decisivo degli Stati Uniti.

Golda Meir morì l’8 dicembre del 1978 a causa di una leucemia.

È sepolta nel cimitero del Monte Herzl a Gerusalemme.

La Meir è stata una donna che ha vissuto in Israele, per Israele. Sempre forte è stato il desiderio di vivere in Palestina anche quando gli Stati Uniti offrirono a lei e alla sua famiglia un luogo sicuro.  Nessun legame con la sua terra natìa: “Ero troppo piccina quando lasciai la Russia, avevo solo otto anni, e della Russia ho solo cattivi ricordi. No, dalla Russia non mi sono portata dietro nemmeno un momento di gioia: tutte le mie memorie, fino all’età di otto anni, sono memorie tragiche.”

L’impressione è che dietro quel volto a tratti pesante, rigido e forse anche un po’ truce, si nascondesse una donna dalla profonda sensibilità, che avrebbe voluto essere più presente con i figli Sarah e Menachem e vivere un rapporto coniugale diverso con il marito Morris, con il quale si separò; una donna che sostanzialmente viveva un’esistenza solitaria: ”Golda viveva sola. La notte non c’era nemmeno un cane a vegliare il suo sonno nel caso che essa si sentisse male; c’era la guardia del corpo all’ingresso della sua villetta ed era tutto. Di giorno, per aiutarla nelle faccende domestiche, teneva solo una ragazza che andava lì a rifarle il letto, dare una spolverata, stirare i vestiti. Se invitava a cena, per esempio, Golda cucinava da sé. E dopo aver cucinato puliva: perché la-ragazza-domani- non-trovi-troppo-sporco.”

Aldilà delle vedute e delle opinioni, Golda Meir ha segnato una stagione importante della politica del Medio Oriente, in particolare di Israele, espressione di un femminismo molto forte che non accettò mai quella leggenda secondo la quale Ben Gurion la eleggesse a “uomo più in gamba del suo governo.”

Certo è che fu una donna valente, coraggiosa, determinata.

Sicuramente più brava di tanti altri uomini.