I feel trapped. Shot of hands grabbing a young womans against a dark background

La consapevolezza è il primo passo

C’è qualcosa di silenzioso, di automatico, di apparentemente innocuo nel modo in cui viviamo e interagiamo ogni giorno. Sorridiamo, chiediamo, decidiamo, giudichiamo, spesso senza accorgerci di ciò che portiamo con noi: modelli sociali che replichiamo, senza sapere esattamente quando li abbiamo imparati, da chi li abbiamo presi in prestito, o se davvero ci appartengono. Ma quei modelli sono lì, agiscono per noi, attraverso di noi. Sono i gesti che ci sembrano “normali”, le parole che usiamo senza pensarci, le aspettative che proiettiamo sugli altri e su noi stessi. Sono il modo in cui ci aspettiamo che una donna “si comporti”, che un uomo “non pianga”, che un collega “straniero” debba dimostrare sempre qualcosa in più per essere credibile. Modelli che sembrano dati, naturali, inevitabili ma, invece, non lo sono. Sono costruzioni, e come tutte le costruzioni, possono essere smontate.

La consapevolezza è il primo passo per iniziare questo smontaggio, perché è il gesto iniziale di chi decide di non muoversi più per abitudine, ma per scelta. È la domanda che apre un varco: perché penso questo? perché faccio così? da dove arriva questa idea? La consapevolezza è un atto scomodo, perché ci costringe a guardarci da vicino, ma è anche un atto liberatorio, perché ci restituisce potere. Perché, diciamolo chiaramente: non si può cambiare ciò che non si conosce, e se non ci rendiamo conto che certi schemi maschilisti, classisti, razzisti, abilisti li portiamo dentro, continueremo a replicarli anche in buona fede, continueremo a credere che sia solo “un modo di dire”, che “è sempre stato così”, che “non c’è niente di male”. Si dovrebbe capire però, che esiste un male sottile in ogni stereotipo che accettiamo senza porci domande, in ogni battuta sessista che lasciamo passare, in ogni gesto di potere esercitato senza spiegazione, in ogni esclusione che giustifichiamo come “scelta tecnica”. Ed è proprio nella quotidianità che questo male si sedimenta nei dettagli: nel modo in cui si parla a una collega, nel tono con cui si interrompe uno studente, nel tempo che si concede (o si nega) a chi chiede di essere ascoltato. Per questo motivo, la consapevolezza non è un concetto astratto, ma una pratica concreta. Si sviluppa allenandosi a guardare le cose da angolazioni nuove. Si allena ponendosi la domanda che spesso evitiamo: perché? Perché una donna in posizione di comando viene descritta come “fredda” mentre un uomo è “deciso”? Perché certe emozioni sono considerate deboli? Perché l’autorevolezza è ancora legata al tono della voce, alla postura, al genere? E ancora: perché ci sorprende quando un uomo si prende un congedo parentale? Perché giudichiamo il valore di un collega in base al suo accento o alla sua cittadinanza? Queste non sono solo curiosità culturali: sono questioni di giustizia sociale. E se non iniziamo ad analizzarle con lucidità, continueremo a portarle avanti senza volerlo, a perpetuare disuguaglianze in ogni ambito della nostra vita: sul lavoro, in famiglia, nella scuola, nei media, nella sanità, nella politica.

Una delle illusioni più grandi è credere che i problemi sociali siano sempre “là fuori”. In realtà, sono anche dentro di noi, e attorno a noi, in quegli spazi dove abbiamo tutti, in diversa misura, un potere effettivo di cambiamento. Non dobbiamo essere legislatori per cominciare a cambiare le cose, spesso basterebbe una conversazione, una presa di posizione, una correzione gentile ma ferma e un silenzio evitato. Quando impariamo a vedere i meccanismi che regolano la nostra società, anche i più invisibili, accade qualcosa di irreversibile: non possiamo più tornare indietro. Le cose che davamo per scontate ci appaiono sotto una nuova luce, e questa luce ci invita a fare scelte diverse. In definitiva, l’obiettivo della consapevolezza non è sentirsi in colpa, né giudicare gli altri, ma prendere posizione e scegliere di non essere spettatori passivi di dinamiche che danneggiano, escludono, zittiscono. È fondamentale far emergere quello che era dato per scontato, e scardinarlo con la forza del pensiero critico. In un mondo dove ancora oggi troppe persone sono trattate come “meno”, dove la parità è spesso solo una parola nei documenti ufficiali, essere consapevoli non è solo un diritto, è una responsabilità e rappresenta il primo passo per costruire una cultura del rispetto, dell’equità, dell’inclusione.


FontePhotocredits: https://elements.envato.com/i-feel-trapped-shot-of-hands-grabbing-a-young-woma-VVNAESD
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Yuleisy Cruz Lezcano nata a Cuba, vive a Marzabotto, Bologna. Lavora nella sanità pubblica, laureata in scienze biologiche e con una seconda laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetricia, presso l’Università di Bologna. Ha pubblicato diciotto libri a seguito di riconoscimenti e premi in concorsi. Due dei libri pubblicati sono in spagnolo/italiano e il penultimo in spagnolo/ portoghese è stato pubblicato in Portogallo. Si occupa di traduzioni in spagnolo, facendo conoscere poeti italiani in diverse riviste della Spagna e del Sudamerica e, in modo reciproco, facendo conoscere poeti sudamericani e spagnoli in Italia. Collabora con blogs letterari italiani, di America Latina e di Spagna. La sua poesia italiana è stata tradotta in francese, spagnolo, portoghese, inglese, albanese.

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