Io sono tentato dal vivere

0,02 millimetri separano il carcinoma dalla cute. Sta lì e non è un neo. È una macchia, un cece rossastro che sanguina perché una maglietta o chissà cos’altro lo ha sfregato. Non è nulla di buono, lo sento e va asportato chirurgicamente il prima possibile.

Il parere dermatologico concorda con il mio timore. Ma non so ancora precisamente cos’è, per adesso lo chiamano genericamente “epitelioma” senza un esame istologico.

Mi alzo ogni mattina alle 6, vedo il mare dai balconi da casa mia. Mi preparo un cappuccino alla macchina della Lavazza. Apro il balcone, tiro con le narici l’aria che c’è, la spingo nei polmoni e nel tragitto è buona, è quasi sempre fresca a ottobre, quasi frizzante. C’è pace, talvolta interrotta dalle grida di chi fa jogging sul lungomare. La strada, i palazzi fanno da cassa armonica, amplificano.

Il libro di Iosif Brodskij “Fondamenta degli incurabili” riposa in un angolo della cucina, su di un mobile che sa di vecchio ma è utile, vicino alla bottiglia di Jack Daniel’s al miele e a dei sigarelli. Non ho fumato né bevuto. Non fumo più da anni. Sono vicini per una coincidenza delle mie mani stanche e pigre.

Brodskij sta lì grazie a te, Sandro. Che la tua Roma e questa vita, che a noi poveri cristi ci guarda dalla testa ai piedi per poi girarsi dall’altra parte, finalmente un giorno possano darti un lavoro che ha a che fare con la tua cultura immensa, perché le tue anche e le tue gambe si riposino, perché tu possa parlare come fai a me di tutti i libri che hai letto in una scuola o in una università. Tu per vivere servi ai tavoli in una trattoria. A nessuno importa.

Ma Brodskij è lì grazie a te. È uno di quei scrittori di cui ti innamori e questa vita sembra avere un senso sino all’ultima pagina, poi torna identica a prima. Spaventa. Il caso.

L’epitelioma va tolto. Come si toglie un qualcosa dalla casa che siamo, quando non piace. Lo guardo e penso.

Non esiste nulla di più bello che pensare di poter magari crepare per qualcosa che è piccola ma potente quanto il morso del serpente del Piccolo Principe. E poi rinascere qualche istante dopo perché non si sa ancora cos’è. E poter scegliere dove essere e con chi.

Oggi pomeriggio, un pomeriggio già passato da una settimana, un collega chirurgo di mia moglie me lo asporta gentilmente in ospedale.

Dio non vuole, non chiedetemi quale dio perché uno vale l’altro, che sia il freddo e non la miseria o la tracotanza a ferire un uomo. Il freddo della precarietà.  Compriamo vestiti, macchine, gioielli, vacanze, è tutta roba che si può solo guardare ma che non ci può guardare. Non come un altro essere umano.

In macchina tranquillizzo in viva voce mia figlia, le spiego che non è onorevole una vita in cui non si combatte valorosamente contro qualcosa o qualcuno. Io torno solo più stanco ma torno e le racconto ogni cosa. Ci sono voluti quattro punti. Ora quel coso orribile, il cece fatto di pelle e tessuti, galleggia in un liquido che lo conserverà sino a che qualcuno lo analizzerà. Servono una decina di giorni. Nel frattempo si torna a casa, si accompagnano i figli maschi a karate, si compra il pane appena sfornato alle 19. Profuma, è caldo, è invitante.

Indosso dei pantaloni corti e una camicia a maniche lunghe e arrotolate.

Non sembro che uno che si trascura, invece è solo l’imbarazzo di poter sembrare, vestendo bene, migliore di ciò che sono. Un abbaglio.

I punti tirano ma sopportabile. Se mi chiedete la vita cos’è, io non ho le parole ma so che nel cuore ho persone di cui mi devo prendere cura.

Mi sono difeso e ho colpito, di strada ancora ce n’è e ogni fiato che resta devo dedicarlo alle giuste parole per spiegare perché accadono certe cose. Non lo so e nessuno lo sa.

Il cielo corre verso la sera e la mia Chevrolet non corre abbastanza veloce, il cielo sta per restituire ombre e luci piccole dei lampioni. La sigaretta è rimasta nel taschino della camicia deformata ma l’odore del tabacco è l’odore di una vita per qualche minuto diversa. Posso scegliere io. Brucio questo sapore e lo spingo fuori dal finestrino. Non fumo che qualche sigaretta ogni tanto, a volte passano mesi,  anni. Questa era la sigaretta  del mio amico che ha una laurea in filosofia ma in Italia vende cianfrusaglie e mi ripete: “Dio, fratello mio, non vuole ma le tentazioni portano a una preghiera mentre il trattenersi conduce l’uomo alla sfortuna”.

Io sono tentato dal vivere, forse è un sopravvivere ma è qualcosa.

Brodskij ha scritto:

“Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l’eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza all’uomo. Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch’esso è più grande di chi ama”.

Il referto è pronto. Mi chiamano dal laboratorio una mattina presto. Ho un permesso dal lavoro per un prelievo, ho dei valori da controllare. Chiedo al telefono se posso sapere cos’è.

Mi risponde una voce gentile: “… bè… devo dirle la verità, nulla di buono ma nel male c’è anche il bene: è un carcinoma asportato che è rimasto confinato nei suoi 0.02 millimetri e che non ha toccato la cute. Stia sereno”.

Devo andare a lavoro ma devo anche poter leggere il referto perché gli occhi sono scarpe e la vita è piena di pietre appuntite. Arrivo, parcheggio la macchina. Apro la porta del laboratorio.  Mi spiegano e io comprendo. Fortuna ma anche prevenzione.  Sono stato bravo io. Io che oggi non riesco ad allacciarmi il laccio di una scarpa, di fretta e spaesato, stanco e un po’ perduto.

Mi è capitato il meno peggio. Non sono precipitato giù da un ponte mentre abbracciavo i miei genitori,  non sono morto schiacciato o bruciato in un bus.

Non sono morto mentre pranzavo o cenavo o andavo a lavoro per colpa di un missile palestinese. È ancora guerra. Mi chiedo quale dio comandi in quel cielo. Se ce ne sia uno. Se ci siano uomini che più della guerra temono la propria coscienza.

Un carcinoma non riuscirebbe a essere più cattivo di certi uomini o più insensato del destino che ha spezzato un guardrail a Mestre.