
Il contributo di Luca Taddio
Capita spesso che, nel prendere in esame una monografia, non si dia una adeguata attenzione alla collana che la ospita col perdere così un prezioso punto di riferimento per meglio inquadrare le finalità teoretiche che hanno spinto l’autore a confrontarsi criticamente con un problema o con il percorso di una figura ritenuta strategica per un determinato punto di vista che si ritiene importante e che si vuole sviluppare; ed il caso della collana ‘Eredi’ diretta per la Feltrinelli da Massimo Recalcati che invita i singoli autori, nel portare avanti le proprie ricerche, a chiedersi ‘cosa significa essere davvero eredi di un insegnamento? Cosa ci convoca a ripensare la parola di un maestro? Cosa è in essa ancora vivente?D’altronde, un’operazione del genere, pur considerando una tale ‘eredità come un resto vivo e mai del tutto esauribile’, comporta inevitabilmente il ‘rischio eretico’ di andare al di là o di travisare il pensiero di quello che è il proprio ‘padre simbolico’ per il semplice fatto che vi viene a vivere in un altro contesto contrassegnato da altre preoccupazioni insieme di natura cognitiva ed esistenziali, fonti del resto primarie di ogni autentica ricerca; in una simile impresa si è impegnato Luca Taddio in Maurice Merleau-Ponty. L’apparire del senso (Milano, Feltrinelli 2024) attraverso il dialogo con questa particolare figura del pensiero francese del ‘900 col riconoscerne il suo ‘debito simbolico’ nel senso che viene a risvegliare “un mondo selvaggio”, un mondo da intendere “come una virtualità della realtà”. Ma la rilettura delle varie opere viene portata avanti alla luce di una non comune prospettiva teorica, quella di rimettere al centro di ogni riflessione “il rapporto apparenza-realtà”, croce e delizia del discorso filosofico-scientifico già a partire dai Maestri Greci, per cogliere “il senso dell’apparire come una virtualità dell’Essere”; ed il tutto è stato possibile grazie al ruolo dato alla percezione vista dalla visuale di certa fenomenologia, chiamata ‘eretica’ in una precedente opera del 2011 nel senso che viene a diramarsi “lungo un’intera tradizione psicologica”, nel suo modo di intendere la filosofia e di considerarla come una fonte per entrare nel pensiero scientifico contemporaneo in quanto il primo passo del più sano lavoro riflessivo è ritenuto quello imperniato sul critico “esame delle premesse”, percorso necessario in ogni tipo di indagine che si mette in atto.
Ed il lungo ed intenso dialogo intrapreso con Merleau-Ponty impone, infatti, per Taddio una preliminare serie di continui chiarimenti di idee della più sana tradizione fenomenologica come il concetto di ‘esperienza immediata’, di ‘percezione’, di ‘esperienza corporea’, di ‘senso’; ed il tutto è finalizzato a cogliere meglio il “significato di verità” che emerge dalle analisi condotte dal pensatore francese sulla percezione vista come “apertura (relazione) al mondo… mondo concepito come un livello della realtà”, fatto che permette di “indagare attraverso le scienze sperimentali i piani invisibili dell’Essere”. E anche se nel loro complesso le diverse scienze stanno sempre di più allargando i loro domini sino “a comprimere lo spazio della filosofia”, per Taddio è necessario lavorare a scovare quel “residuo non colmabile dalla scienza”, a mettere in piedi dei “tratti teorici” che possono trovare le loro ragioni di fondo nella fenomenologia della percezione in quanto in grado di contribuire alla “chiarificazione epistemologica attraverso l’uso sistematico di esperimenti (anche mentali) e l’analisi di esempi tratti dalle scienze”. E questo viene visto operante appunto nel percorso di Merleau-Ponty, la cui opera è ritenuta “una lunga nota a piè di pagina di Husserl o alla psicologia della Gestalt” grazie al fatto che si prende un risultato di una scienza per accostarsi ad Husserl, poi a sua volta utilizzato per confrontarsi con la “nuova psicologia”; e tale doppio passaggio concettuale è funzionale da una parte allo stesso “rilancio” di questa figura col prendere in esame alcuni casi concreti, intesi “come singolarità da cui fare emergere implicazioni di carattere epistemologico e ontologico” e dall’altra della stessa fenomenologia che in tal modo viene a riacquistare un inedito peso nella stessa agorà, non solo concettuale, contemporanea alle prese con diverse sfide tutte da affrontare col mettere da parte i vecchi arnesi messi in campo e che peccano per lo più di logiche normative e riduttive.
Luca Taddio fa così suo in modo programmatico l’invito merleau-pontyano ad essere fedele alle idee di fondo di Husserl col ritrovarle ma soprattutto “pensando di nuovo”, unico modo per coglierne “le sfumature più sottili” e “lo sfondo visibile-invisibile” implicito in ogni percorso; e così i vari capitoli dal “tornare alle cose stesse” all’epochè, dal campo fenomenico al flusso dell’esistenza, offrono un percorso per chiarire l’affermazione del perché “siamo condannati al senso’, frutto della relazione tra il nostro corpo e l’ambiente fisico attorno a noi” e della nostra adesione al mondo in quanto “ne facciamo parte in termini relazionali” dove sono le “inter-relazioni” a costituire la realtà, “trama che si inabissa oltre l’esperienza”. Il mondo con le sue ‘’contraddizioni e ‘rugosità’ lo abitiamo, come diceva Simone Weil, e per questo possiamo usufruire della verità che esso porta in dono se afferrata ‘grazie al reimparare a vedere il mondo’, operazione che richiede una preliminare e progressiva liberazione da tutti quei ‘ismi’, a dirla col neurobiologo Gerald Edelman, che, pur messi in campo nel corso della storia per capire meglio il reale stesso, arrivano ad esautorarlo di alcune componenti, magari quelle più costitutive; ed è questo il compito primario della sana filosofia nei riaprire dei recinti a volte arbitrariamente chiusi ed imposti, come è scritto in Fenomenologia della percezione, nel cogliere soprattutto tale aspetto, chiamato dal pensatore francese ”l’Essere ‘selvaggio’, il tessuto comune di cui siamo fatti”. E senza abitarlo, come scrive Taddio sempre nel fare suo il gioco del visibile-invisibile messo in campo da Merleau-Ponty, “non potremmo in alcun modo entrare nella casa dell’Essere e aderire alle sue molteplici virtualità”. In tal modo viene vista presente nell’intero impianto fenomenologico la tendenza a “riconoscere i diversi strati di complessità della realtà (di ordine epistemologico-ontologico)” col chiarire in primis di volta in volta il “sistema di riferimento” adottato; ed il tutto è finalizzato a cogliere “il significato – ontologico- della relazione che lega e rende possibili il pensiero, il linguaggio e il mondo”, operazione cognitivo-esistenziale che “implica l’assunzione del paradigma della complessità, comprendere le proprietà emergenti delle dinamiche relazionali della realtà” grazie al concetto di Gestalt, vista e “recuperata in tutta la sua attualità” in base a recenti risultati provenienti dalla psicologia e dalle neuroscienze.
Taddio perviene così a delineare il percorso di Merleau-Ponty come una vera e propria “filosofia delle relazioni”, frutto dell”’intersezione tra il piano ontologico e quello epistemologico” della percezione, vista grazie “al suo incessante scavo critico all’interno delle scienze”, da dove viene fatta scaturire la nozione di ‘virtuale’, tra l’altro prerogativa anche se declinata in modi diversi da più figure del mondo filosofico francese da Gaston Bachelard a Gilles Deleuze e Gilles Châtelet (Gilles Châtelet: le virtualità di una vita, 25 novembre 2021), col permettergli una riflessione sulla “nozione di carne come tessuto relazionale dell’Essere”; e lo scandagliare il ruolo della percezione nell’intero percorso di Merleau-Ponty gli ha permesso, inoltre, di “riflettere sul mondo contemporaneo e sulle trasformazioni in atto derivanti dall’accelerazione dello sviluppo tecnico-scientifico” e di dargli gli strumenti per “mostrare come una certa gamma di problemi siano tra loro intimamente legati e interconnessi”. Del resto, questo poi è il frutto del più maturo processo di metabolizzazione del pensiero complesso con la necessità di lavorare ad una nuova Paideia, nel senso avanzato da Mauro Ceruti in alcuni recenti scritti, in grado di scardinare gli ‘ismi’ messi in piedi e di educare ad una nuova forma mentis sempre più alle prese con problemi planetari.
Così Luca Taddio, nel recuperare del suo padre simbolico che è stato Merleau-Ponty “lo spirito di fondo”, se lo rende compagno di viaggio nello scavare in profondità le ragioni dell’Essere selvaggio col chiarirne il pieno di tessuto relazionale; e come conseguenza di tale percorso. si interroga, e nello stesso tempo costringe il lettore a farlo, sui “rischi e i problemi della trasformazione” in corso dove la strategica questione della “nostra relazione al mondo naturale muta ed evolve in mondi digitali” in modo imprevedibile. E si può concordare sul fatto che tale problematica non può non avere che dei “tratti sospesi” dato che non si sa “se vi sarà spazio ancora per una riflessione filosofica” e se la scienza arriverà ad esautorarne la funzione che è quella di trovare “stupore e meraviglia dinnanzi al dischiudersi dei fenomeni visibili-invisibili”. Ci troveremo a convivere con “nuove emergenze”, “nuove forme di vita il cui destino non è detto che si accompagni a quello della filosofia”; ma “la domanda filosofica”, che si nutre della ‘rugosità del reale’, nel senso di Simone Weil, e delle virtualità dell’Essere selvaggio nel “darsi in tutte le proprie relazioni”, potrà ritrovare un nuovo spazio col porsi “daccapo in modo inedito”. E anche se, come afferma Maurice Merleau-Ponty, l’intera opera di un filosofo è uno ‘sforzo assurdo’ in quanto nel parlare mostra tutta la sua ‘debolezza’ da dover ‘tacere’, c’è sempre qualcosa che lo spinge a ‘ricominciare’, a fare i conti col continuo ‘apparire del senso’ e a risvegliarlo con le relative poste in gioco messe in campo dal rapporto tra realtà e apparenza, anche perché, per parafrasare Karl Marx, se ‘apparenza ed essenza delle cose coincidessero’, il pensiero e la scienza sarebbero superflue, come le diverse tensioni che contraddistinguono le nostre vite.
Così, un lavoro con la finalità di scovare in una figura delle risorse cognitive, per svilupparne dei nuclei concettuali che si ritengono strategici per alcune problematiche odierne, si rivela un percorso dove si discute del destino non solo della riflessione filosofica, ma del destino stesso dell’essere umano, condannato sì alla perenne ricerca del senso di sé e delle cose che lo circondano, ma anche libero di sviscerarlo in diverse articolazioni per permettere al ‘fuoco della verità’ che lo divora, a dirla con Pavel Florenskij, di trovare la sua strada; in tal modo, la scoperta dell’Essere selvaggio, o meglio la sua riscoperta, e si deve essere grati a Luca Taddio per averne nel confronto critico con Maurice Merleau-Ponty delineato più volti, può condurci a mettere in campo degli spazi di resistenza, sia di natura cognitiva che esistenziale, contro le sempre in agguato insidie di stampo riduzionistico con le quali si pensa di fronteggiare le sfide odierne che ci obbligano a ripensare ab imis la nostra ‘stoffa’, a dirla con Pierre Teilhard de Chardin.



























