
“…criticano i social media in modo generico e superficiale perché per loro il problema è uno solo: che permettono di esprimersi a troppa gente… Questa roba non è altro che “odio per la democrazia”, ostilità verso “le forme di interazione sociale”… È disprezzo per la molteplicità, espresso in nome di una “democrazia” tutta formale che all’osso si riduce alla governabilità ed è, di fatto, oligarchia”
(Wu Ming 1 da La q di qomplotto)
“La differenza tra democrazia e dittatura è che in democrazia prima voti e poi prendi ordini, in dittatura non stai a perdere tempo a votare”
(Charles Bukowski)
È fresca la notizia, che viene d’oltr’Alpe, della condanna a quattro anni di reclusione (due sospesi), con obbligo di braccialetto elettronico, 100 mila euro di multa e cinque anni di ineleggibilità, con esecuzione immediata, per la leader del Rassemblement National, – ex Front National, partito di (estrema) destra francese, fondato dal padre Jean-Marie,- Marine Le Pen.
La sentenza del Tribunale di Parigi l’ha giudicata colpevole di appropriazione indebita di fondi pubblici, insieme ad altri funzionari del RN, in quanto il partito avrebbe usato fondi del Parlamento Ue per retribuire il personale impiegato sul territorio francese, ma pagato dall’Europarlamento per fare da assistente dei deputati all’assemblea di Strasburgo.
L’aspetto più devastante di questa sentenza, per la condannata, è che, rebus sic stantibus, non potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2027, per le quali i sondaggi, ad oggi, le attribuiscono, al primo turno, un sostanzioso 37% di preferenze.
Vero è che la Le Pen farà ricorso in appello per l’annullamento della sentenza, ma potrebbe servire più tempo del necessario, impedendole, nella sostanza, di candidarsi.
Ora, è vero, le sentenze si rispettano. Ma si possono certamente discutere.
È singolare che i giudici, una sezione speciale che si occupa esclusivamente di questa tipologia di reati, abbiano deciso, nella discrezionalità in questo caso loro consentita dalla legge, l’immediata esecutività della pena, escludendone la sospensione in attesa del giudizio d’appello.
Il reato c’è, indubbiamente, ma non ha nulla a che vedere con corruzione o illecito finanziamento al partito. Né la Le Pen si è personalmente arricchita attraverso questa condotta criminosa.
Dico questo perché la leader RN, che pure ha fortemente voluto questa legge, addirittura proponendo di accompagnare alla condanna l’ineleggibilità permanente, la riferiva all’arricchimento personale del condannato.
Se poi si pensa al fatto che i giudici hanno motivato la condanna, e soprattutto il fatto di escluderne la temporanea sospensione, sostenendo che sussiste il “fondato rischio” di una reiterazione del reato nonché il “grave rischio di turbativa della vita pubblica” nel caso in cui la Le Pen fosse rimasta in libertà in attesa della sentenza definitiva, allora la questione si fa più interessante.
Si può mai pensare che la candidata che aspira a divenire il primo Capo di Stato francese, insieme donna e di destra, si metta a delinquere, reiterando il reato, così, in purezza, senza un minimo di dignitosa prudenza, da qui al 2027?
Peraltro, la Le Pen non è più deputata europea dal 2014. Dunque, come potrebbe ripetere quella fattispecie criminosa?
Per non parlare, poi, del “grave rischio di turbativa della vita pubblica”.
Non è forse più rischioso impedire per via giudiziaria la sua candidatura all’Eliseo piuttosto che consentirle di concorrere e farla sconfiggere da un candidato che, al secondo turno raccolga la maggioranza assoluta dei voti, come già accaduto nel 2022?
La sua esclusione, peraltro assai criticata da uno dei suoi potenziali concorrenti, Jean-Luc Mélenchon, potrebbe scatenare, -i francesi in questo non hanno nulla da imparare,- le ire popolari, con qualche sollevazione.
I giudici hanno, a mio modesto parere, davvero scritto una condanna politica che va a conculcare il diritto alla rappresentanza democratica dei cittadini, e, più in generale, una brutta pagina della storia della democrazia francese.
Ma, d’altro canto questo è un dejà vu.
La Romania con Georgescu vi ricorda qualcosa?
Anche lui, che i sondaggi davano per quasi certo vincitore delle elezioni presidenziali, senza neanche la formulazione di un’accusa specifica (aver usato Tik tok per farsi propaganda?, aver usufruito di ingerenze russe? Mah…) è stato escluso dalle elezioni.
In comune i due personaggi indicati non hanno quasi nulla.
La francese è una politica di lungo corso, figlia d’arte, ritenuta “fascista”, ma favorevole al diritto all’aborto, (nell’ottobre 2022 Marine Le Pen si dichiara favorevole a inserirlo nella carta costituzionale) allo stato laico. Appare moderata sulle questioni LGBT, ma non ha condannato le leggi omofobe dell’Ungheria di Viktor Orbán.
Né ha mancato, col tempo, di riposizionarsi rispetto alle questioni socio-economiche, abbandonando tesi quali il ritorno della pensione a 60 anni, la difesa della settimana lavorativa di 35 ore, e proponendo tagli fiscali per le imprese e una riduzione della spesa pubblica. In pratica si è spostata verso posizioni più “liberiste”.
Il rumeno, un parvenu della politica, è contrario alle sanzioni alla Russia, ma ne auspica l’amicizia. Difende i valori della famiglia tradizionale e della chiesa ortodossa. È anche a favore dei piccoli proprietari, del cooperativismo e del’indipendenza alimentare ed energetica.
In comune hanno una certa avversione all’UE e alla Nato.
Le idee di questi due personaggi politici possono piacere o non piacere. Ma in democrazia hanno tutti il diritto di dire la loro e di cercare e ottenere consensi. Nessuno può eliminare dal gioco politico un avversario scomodo.
Ma ormai questa è la triste deriva cui stiamo assistendo non tanto impotenti, quanto indifferenti.
Più spesso, stupidamente accondiscendenti.