
«La prima battaglia culturale è stare di guardia ai fatti»
(Hannah Arendt)
«Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da’ suoi primi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que’ tempi, era quella d’un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d’esser divorato. […] Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’esser in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi assai di buon grado ubbidito ai parenti che lo vollero prete. […]Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui»
(Alessandro Manzoni da I promessi sposi)
Il vile attentato alla vita del giornalista Sigfrido Ranucci presentatore e dominus di REPORT, le cui redini ha ricevuto, anni or sono da Milena Gabanelli, è davvero agghiacciante.
E ci riporta indietro agli anni in cui i giornalisti erano oggetto di attenzioni criminali da parte associazioni di stampo mafioso.
Si pensi a Costanzo, sfuggito per un pelo nel maggio del 1993, all’attentato di via Fauro. O a Giancarlo Siani, ucciso nel settembre del 1985. O a Mauro De Mauro, rapito, e mai più ritrovato, nel settembre del 1970.
Tre casi paradigmatici della storia patria e di quella del giornalismo che si intrecciano drammaticamente. Per tacere dei giornalisti assassinati dal terrorismo politico, come Walter Tobagi o Carlo Casalegno, o rimasti fortunatamente solo feriti, come Indro Montanelli.
O morti a causa dello scoperchiamento di putridi grumi di interessi economici, a livello internazionale, come accaduto a Ilaria Alpi, che perse la vita a Mogadiscio, o a Carmen Lasorella, fortunatamente solo ferita, sempre nella capitale della Somalia.
Che avevano tutti questi uomini e donne in comune, oltre che essere iscritti all’albo dei giornalisti?
Stavano facendo il loro dovere professionale. Stavano, cioè, raccontando i fatti con zelo, puntualità, desiderio di documentare eventi gravi e socialmente assai allarmanti affinché l’opinione pubblica ne fosse informata tanto da poter così avere un’esatta conoscenza delle cose.
È preciso diritto dei cittadini (ai sensi della nostra Costituzione, all’art. 21, che garantisce ai giornalisti il diritto/dovere d’informare), d’essere informati correttamente ed integralmente, senza menzogne ed omissioni. E questo perché il cittadino/elettore possa godere della così detta simmetria informativa, ovvero conoscere completamente per scegliere correttamente.
Ogni omissione, ogni falsità, ogni nascondimento dei fatti è un grave vulnus alla democrazia.
Ora, tornando all’attentato a Ranucci, che poteva costargli la vita, come a sua figlia, appare evidente che le inchieste di REPORT hanno toccato qualche nervo scoperto del malaffare che, con la bomba che ha distrutto le autovetture di Ranucci e di sua figlia, ha voluto indirizzare un pesante avvertimento intimidatorio contro il valente e serio lavoro del destinatario. A certificare, se ci fosse ulteriore bisogno di prove, che racconta il vero.
Ecco, questo è importante sottolineare: l’obiettivo dell’intimidazione è Sigfrido Ranucci, non in generale, la categoria dei giornalisti. Ed è inutile, come hanno fatto molti di loro, che si intestino l’attentato come fosse una intimidazione a tutta la categoria.
I giornalisti italiani, nella stragrande maggioranza, non brillano per professionalità, indipendenza, schiena dritta.
Spesso sono al soldo di potentati economici, di cui tutelano gli interessi o difendendoli esplicitamente, o appoggiando campagne di discredito contro gli avversari (politici od economici) dei padroni, o, più spesso, nascondendo le notizie avverse ai medesimi.
Non starò qui a fare esempi, perché ne verrebbero fuori elenchi lunghi e, francamente, anche un po’ tediosi.
Però una domanda è lecita. Perché lo fanno? Perché questi giornalisti “vendono la loro anima”, violando alla grande tutte le regole della loro etica professionale? Perché preferiscono tacere, sedare, celare, piuttosto che raccontare i fatti? Il ruolo del giornalista è essenziale per controllare il potere e metterne a nudo contraddizioni, bugie, reati. I giornalisti devono essere i cani da guardia del potere, non quelli da riporto.
E tuttavia, credo lo facciano, oltreché per soldi, per potere. In pratica ne vogliono condividere le briciole, trovandosi un padrone generoso che, ogni volta che portano indietro il legnetto, li premia con una coccola ed un croccantino.
Questa squallida categoria di giornalisti, di solito, viene premiata con la direzione, pagata profumatamente (anche con soldi pubblici!), di un giornale o di una rete TV. Ed è poi la stessa categoria che vive costantemente nei salotti degli infotainment televisivi, dove sproloquia dell’universo mondo vomitando sul pubblico montagne di letame contro gli avversari dei padroni e/o menzogne sesquipedali (vedi alla voce Israele/Gaza).
Di solito sono ben vestiti, hanno un eloquio puntuto e rotondo (e normalmente tronfio). E mal tollerano un’opinione diversa dalla loro, che ne sanno sempre una di più del loro interlocutore.
Lo fanno anche perché sono pusillanimi e preferiscono il calduccio della confortevole cuccia che gli ha predisposto il padrone.
Questi giornalisti (che si credono la noblesse della categoria, perché, va detto, esiste, al suo interno, anche un “sottoproletariato”, pagato a cottimo e senza garanzie, quindi ricattabile e scarsamente tutelato) non rischiano niente, se non la vergogna.
Ma, ormai, è da tempo che non ne provano più.