
Assiste divertita e profondamente commossa, la prof.ssa Ivana Sciacovelli, allo spettacolo teatrale “Pino, occhio!” realizzato dai detenuti della casa di reclusione di Altamura (regia del prof. Antonio Larocca e della prof.ssa Roberta Tritto, docenti del CPIA 2 Bari “Chiara Lubich”) e non può fare a meno di scriverne una recensione per liberare l’emozione
7 luglio 2025: una data che non dimenticherò mai. Per 30 anni, chi mi conosce lo sa, ho sempre temuto l’idea di entrare in carcere, fosse anche solo per un’ora. Il timore non era tanto quello di immaginarmi colpevole di un reato, quanto quello di entrare in un luogo nel quale lo spazio è severamente delimitato e il tempo è rigorosamente scandito. Uno spazio-tempo chiuso, ecco.
E invece il 7 luglio ho scoperto che lì dentro non si è rinchiusi, ma sospesi. Lì c’è spazio etempo per decidere chi si vuole essere e chi si vuole diventare.
L’ho capito già quando ho varcato la soglia della Casa di Reclusione di Altamura e nel chiudermi alle spalle il cancello di ingresso non mi sono sentita “imprigionata” ma piuttosto “interrotta”. Tuttocontribuiva a creare questo stato di sospensione, quasi di spaesamento. Il colore blu che predominava sulle pareti, gli alberi e l’orto nel viale principale, il gattino amico di tutti, i sorrisi complici tra educatori, docenti e Polizia Penitenziaria ma soprattutto la vitalità dei detenuti che si preparavano ad andare in scena: tutto mi faceva sentire non smarrita ma “trovata”, nel luogo in cui la speranza non muore mai e tutto è ancora possibile.
E così ho percepito che si sentissero anche i detenuti che, per quel giorno, non erano più solo “reclusi”, ma attori, narratori o semplicemente uomini, pronti a raccontarsi attraverso il linguaggio vivo e diretto del teatro.
“Pino, occhio!” è il titolo geniale che il mio grande amico e collega prof. Antonio Larocca ha trovato per dare nuova forma alla fiaba di Pinocchio. Un titolo che già mi raccontava tanto, ma che mai potrà spiegare la potenza dello spettacolo a cui ho assistito. Antonio, con la collaborazione di un’altra mia grande amica e collega, la prof.ssa Roberta Tritto, ha trasformato Pinocchio in una rappresentazione teatrale vera, emozionante, divertente e cruda, potente e dolce, specchio delle fragilità umane. Perché il protagonista non è solo il burattino che vuol diventare un bambino vero, ma rappresenta la fragilità di ogni essere umano di fronte alle tentazioni, agli errori, alle cadute.
Tra una battuta in dialetto e una lacrima di commozione, gli attori hanno condotto tutti gli spettatori all’interno di Crime City, la città degli Abbiocchi e delle Ombre. Lì ci hanno mostrato le loro ferite, hanno urlato i loro pensieri, sussurrato le loro paure, ma soprattutto ci hanno permesso di sentire (con il significato inglese del verbo to feel) cosa si prova quando il nostro Grilletto Parlante buono lotta duramente contro le nostre tentazioni, le ombre, i cedimenti e il buio.
Ho riso molto e pianto moltissimo. Ogni battuta, ogni sguardo, ogni esitazione portava con sé un frammento di vita vera, fatta di errori, di desideri, di nostalgia e di voglia di riscatto. Sul set non c’erano effetti speciali né scenografie elaborate – un LIM senza connessione ad internet e alcuni simpatici ornamenti – eppure non serviva nulla. C’era tutto: c’era la verità, c’era l’emozione, c’erano gli sguardi. Negli occhi di ciascun attore ho visto quello stato di sospensione che anch’io ho sentito all’ingresso. Erano tutti nel loro spazio-tempo di possibilità, dove c’è ancora e sempre modo di
dire sì alla vita e scriverne un nuovo capitolo. Come Pino, vogliono salvarsi, ricominciare, e lo fanno partendo da qui. Frequentando la scuola e partecipando a programmi come questo.
Credo fosse questo il fine ultimo del progetto dai miei colleghi: proporre un laboratorio teatrale dall’alto valore umano e pedagogico e trasformarlo in un viaggio dentro le coscienze. Offrire ai “ristretti” un’occasione per “allargarsi”, donando loro ascolto, dignità e possibilità. Bene, io credo che ci siate riusciti alla grande, cari colleghi. E non è tutto: siete riusciti a cambiare anche noi spettatori privilegiati che all’uscita non eravamo più gli stessi. O almeno per me, è stato così.
Vi sono infinitamente grata. Con affetto,
Ivana



























