
«Pensa in modo sbagliato, se vuoi. Ma in ogni caso pensa con la tua testa»
(Doris Lessing)
«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge …»
(Matteo, 7, 12)
Nel nostro sistema politico-istituzionale, esiste un particolare organo il cui compito fondamentale (ma ne ha anche altri, ugualmente importanti) è quello di verificare che le leggi vigenti, così come vengono applicate, rispettino il dettato costituzionale.
In pratica quest’organo, che è la Corte Costituzionale, verifica che le leggi non violino (ergo: modifichino di fatto) le norme della nostra Legge Fondamentale.
Se questo accade, annullano la legge, o quella parte di essa che non si allinea al significato delle regole della Costituzione. Per farlo, devono ovviamente interpretare, in modo autentico, vale a dire che si impone a tutti, la stessa Costituzione e preservarne l’integrità.
E tuttavia, merita menzione il fatto che la Corte non agisca sua sponte, ma ne deve essere stimolato l’intervento con un ricorso che segue due diversi iter, uno dei quali anche attivabile dal cittadino comune, coinvolto in una causa giudiziaria di qualsiasi natura, attraverso il suo patrocinatore.
La Corte, qualora, poi effettivamente adita, deve dare necessariamente, una risposta il cui valore, nel caso di accoglimento del ricorso, è cogente erga omnes e non solo nei confronti del ricorrente.
Non entro nei dettagliati tecnicismi alla base del meccanismo di intervento della Consulta, non è il caso di annoiare il lettore.
Cionondimeno, va ricordato che alla Corte si deve una significativa potatura, nel nostro ordinamento, di tutte quelle leggi fasciste che erano a forte impostazione discriminatoria, ad esempio, verso le donne in materia di diritto di famiglia.
Cosa ha fatto la Corte, in questi ultimi giorni da meritare l’attenzione del comune cittadino?
Con due sentenze che stanno già facendo discutere, l’alto organo ha dimostrato che una Costituzione non solo ce l’abbiamo, ma merita anche di essere applicata.
Infatti, con la prima (sentenza n. 115/2025) ha deciso che la “madre intenzionale” nelle coppie lesbiche, avrà diritto ai 10 giorni di “congedo di paternità” retribuiti per stare accanto al neonato. La norma, estesa anche alla madre non partoriente, assimila questa figura a quella del padre delle coppie eterosessuali, garantendo il medesimo diritto, fruibile anche per un periodo non continuativo. Esso riguarda i lavoratori dipendenti, anche all’interno di coppie non sposate, né unite civilmente.
Una tale estensione appare a chi scrive “normale” anche perché dovrebbe essere scontato che se un bimbo ha due madri, anziché una madre e un padre, la seconda madre, quella così detta intenzionale, assume le funzioni relazionali e di accudimento (anche verso l’altra partner della coppia) che il congedo garantisce di poter esercitare. Come un padre e marito/partner qualsiasi.
Invece da Fratelli d’Italia hanno commentato. “Ancora una volta la Corte va contro la scienza e la biologia e, dopo aver aperto un piccolo spiraglio, adesso apre una pericolosa voragine”.
Ora che tal Maddalena Morgante si esprima in questi termini è più che legittimo. Né ci si aspettava il contrario. Ma dire che “la Corte va contro la scienza e la biologia” è come dire che le cure anticancro sono sbagliate perché non consentono alla natura di fare il suo corso. Cioè un’ovvietà.
La Corte, e le leggi più in generale, non sono fatte per assecondare la Natura, ma per affermare che l’essere umano non è solo un animale. Altrimenti perché la specie umana non è rimasta allo stato di natura? Magari quello pericoloso e senza regole dell’homo homini lupus di hobbesiana (e plautina) memoria?
Ci saremmo risparmiati millenni di civiltà giuridica. E non solo.
Quanto alla seconda sentenza, n.118/2025, la Corte ha riconosciuto il diritto ad una lavoratrice, ingiustamente licenziata da parte di un’impresa con meno di 15 dipendenti, – tra quelle, cioè, che hanno (avevano) l’obbligo di indennizzare il lavoratore ingiustamente licenziato con una somma di danaro non superiore all’importo corrispondente ad un massimo di sei mensilità – ad ottenere un indennizzo più cospicuo. Dunque, i giudici del lavoro, d’ora in poi, potranno determinare risarcimenti più consistenti, poiché un indennizzo così basso, come previsto dalla legge è inidoneo “… a costituire un ristoro del pregiudizio sofferto dal lavoratore, adeguato a garantirne la dignità …”. Che è, a ben vedere, il risultato che i presentatori dei referendum abrogativi, falliti a giugno scorso, intendevano conseguire col quesito n.2.
In entrambe le sentenze, la Corte rileva, tra le altre, la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, quello che proclama l’uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini.
Infatti nella prima sentenza, poiché è uguale, nelle coppie eterosessuali, il ruolo del padre del neonato, quanto a cure ed assistenza, a quello della seconda madre in quelle dello stesso sesso, la Corte ristabilisce eguale trattamento normativo, riconoscendo ad entrambi il diritto al congedo di paternità.
Nella seconda, invece, non ha fondamento, in caso di licenziamento ingiustificato , che l’essere dipendenti di una piccola impresa preveda un trattamento economico risarcitorio penalizzante rispetto all’omologo lavoratore di un’impresa grande.
Ecco: va dato merito alla Corte di aver messo le cose a posto in punta di diritto costituzionale.
Così funziona (e dovrebbe funzionare sempre!) un sistema liberaldemocratico/socialdemocratico protetto, nel suo corretto funzionamento, da quei “check and balance”, ovvero controllo e bilanciamento reciproco tra gli organi dello Stato, che lo rendono impermeabile a quei perniciosi tentativi di un singolo potere di prevalere sugli altri.
E non è che in Italia tentativi del genere manchino!
























