
…da quelli che pomposamente si ritengono “amministratori”.
Via Francigena. Antica strada, lunga oltre 3.000 chilometri da Canterbury a Santa Maria di Leuca che richiedeva 146 giorni per percorrerla a piedi. Dalla Francia conduceva nel Sud Europa fino a Roma, proseguendo poi per la Puglia, dove vi erano i porti d’imbarco dei Crociati per la Terrasanta, Gerusalemme in testa. Terminava a Santa Maria di Leuca.
Nel 1994 è stata dichiarata “itinerario culturale europeo”, assumendo dignità sovranazionale, come il “Cammino di Santiago di Compostela”. Non era propriamente una via, ma un fascio di vie con molte alternative. Vi si collegavano anche gli scandinavi ed i tedeschi del Nord. Faceva tappa in molte città commerciali.
Valicava il colle del San Bernardo e il Colle del Moncenisio, per raggiungere l’Italia, attraversava il Po in barca nei pressi di Piacenza, toccava Lucca e Siena che ne beneficiò della sua presenza raggiungendo uno sviluppo urbanistico, demografico e finanziario nel Basso medioevo.
Arrivo a Barletta
Arrivata a Barletta, il breve tratto che la individua, segnalato ora da cippi contrassegnati dalla sagoma di un pellegrino con bastone, piantumati dalla Regione Puglia, prende anche il nome di Via Contrada Paludi, toponimo per indicare acque stagnanti, terreni palustri, ancestrali.
Flusso ininterrotto di pellegrini
Ancora adesso è percorsa da numerosi pellegrini, che ti salutano con un cenno della mano o fermandosi a chiacchierare amabilmente con te, mentre la lama della zappa affonda nella sofficissima terra, o i denti del rastrello estirpano le erbe spontanee. Proprio ieri un pellegrino, sbagliando percorso ti chiedeva informazioni viarie, avendo imboccato il “Tratturiale dei compagni” la stradina-viale di campagna dedicata ai tuoi amici che costeggia il tuo orto giardino sinergico e il canale di bonifica.
Che cosa significa bonificare
Bonificare un territorio significa rigenerarlo e ridonare alla vita agraria luoghi deserti, selvaggi, squallidi, tristi ed infecondi. Ebbene, lungo la cimosa costiera del Mare Adriatico si estendevano le Paludi di Barletta-Trani, terra inaccessibile, pericolosa.
Studi, progetti e realizzazione
Infruttuosi, erano stati i tentativi avviati a metà Ottocento per la sua bonifica. Soprattutto studi e progetti. Ripresi all’inizio del Novecento, si arenarono, ma furono riavviati nel 1910 con la costruzione di canali a marea, e colmate artificiali per le zone più depresse. La bonifica venne completata prima della seconda guerra mondiale con la costruzione del IV e V collettore Ariscianno.
Acqua che percola nel terreno
La presenza di tali terreni palustri nell’area di Barletta e Trani è connessa sin dal Pleistocene* alle risorgive della falda carsica “profonda” delle Murge Nord Occidentali nell’aria compresa tra Ariscianne e Boccadoro, imponente fonte sorgentizio cosparso di acque di polla, dette “acque di Cristo”, avente la portata complessiva di circa 1200 l/s.
Malaria e terreno sconnesso
La popolazione non dimorava in campagna per la presenza funesta della zanzara anofele, vettore di malaria, né vi si affacciava per fruirla in qualche modo per il dissesto idrico ed agrario. Nacque così l’esigenza, per dare una mano alla gente afflitta alla miseria, di recuperare i terreni paludosi e migliorare l’agricoltura attraverso interventi idraulici ed agrari.
Un flusso continuo di gente
Quanta gente percorreva via Contrada Paludi nei tempi andati, quando la malaria, presente ancora oggi con i suoi marcatori nel sangue di molti barlettani, era stata debellata!
A piedi, con la bicicletta, in moto, in groppa a mule o su traini abbaianti per l’immancabile presenza di un cane legato al termine di una sponda di legno, traballante. Oltre al conducente perennemente con una frusta in mano prendevano sovente posto, congiunti e amici.
Occhi, narici e palati… estasiati
Poderi lussureggianti, dalle svariate forme: rettangoli, quadrati, triangoli, trapezi. Mediamente piccoli, minuscoli appezzamenti pullulanti di uomini, donne e bambini impegnati dal sorgere del sole al suo avviarsi grondante di caldi colori verso l’altra faccia della Terra. Molteplici le attività, manuali, assistite da rudimentali attrezzi agricoli e dall’aratro trainato da un quadrupede, mulo, cavallo asino. Un tuo amico, all’epoca, veniva indicato con l’appellativo di “Angelo della ciuccia.”
Gli adulti in prima linea
Gli adulti si facevano carico dei lavori più pesanti e pericolosi. Dissodare il terreno con zappe da cinque chili, prelevare l’animale dalla stalla, sovente attigua all’abitazione, e metterlo tra le stanghe nel parcheggio dei traini, prendersi cura dell’animale, che si abbeverava a una fontana pubblica, fare lo scasso con i picconi, scavare pozzi, mettere a dimora piantine, allevate per tempo nel semenzaio.
I bambini davano una importante mano all’economia
I lavori più leggeri erano riservati ai bambini, o alle donne quando, raramente, non erano incinte. Marianna Piazzolla si ricorda bene del tempo in cui porgeva il secchio o una quartara di acqua che aveva attinto dal vicino canale di bonifica.
D’estate, poi, quando il sole era implacabile, per contenere l’arsura la piccola imboccava la canna dell’immancabile anfora di terracotta, “u ccnid”, che manteneva a lungo fresca l’acqua, o si dissetava, come un barboncino, accostando la bocca all’acqua del canale di bonifica, allora incontaminata, gracidante per la presenza di rane, aspirando voluttuosamente.
Non mancavano tragedie. Dibenedetto Antonio ricorda ancora che un suo zio, fratello di suo padre, bambino di pochi anni precipitò in un pozzo poco profondo, e a nulla valsero i tentativi del genitore, distante, impegnato in lavori, per rianimarlo e soccorrerlo.
Agricoltura che non impoveriva il suolo
Assenti, allora, i trattori, le motozappe, che ora fanno strage di microrganismi del suolo, le motopompe. Impensabili i pesticidi, gli ormoni ed i concimi, che si affacceranno quando, terminata la seconda guerra mondiale, le industrie belliche verranno convertite in fabbriche per la produzione di prodotti chimici che rimpinzeranno fino all’inverosimile, farmacie e negozi per l’agricoltura.
Numerose erano le norie, chiamate “mulini” dai contadini, ruote idrauliche fornite di una serie di tazze fissate a una catena, azionata dall’animale in proprio possesso che avevano la funzione di sollevare l’acqua. Savino D’amore con i suoi numerosi anni in groppa le ricorda nitidamente, individuando per te i poderi dove erano alloggiate.
Il sapore delle verdure seduceva tutti i palati
Prelibati i prodotti che la terra elargiva. Nel periodo della raccolta dei pomodori, numerosi erano i carretti che, venendo da Bitonto, Corato, Andria facevano scalo nella contrada, per caricare casse contenenti quintali del dolcissimo prodotto, sapido grazie alla qualità del terreno a all’acqua, alquanto salmastra, per “fare la salsa.
Le canne, la falce, i capitoni e le rane
Si staglia nitida nella memoria dell’ottuagenario contadino, il ricordo, nostalgico, di quando un operatore dell’Ente Riforma, nei tempi andati, provvedeva a recidere con la falce le canne che crescevano rigogliose lungo il canale di bonifica. E se qualcuno contravveniva alle regole di rispetto del canale, calava inesorabile la mannaia della contravvenzione.
Allora, vi crescevano, capitoni che allietavano di proteine le povere mense dei contadini, le rane gracidavano festosamente, facendo arrivare il loro canto alle orecchie dei contadini.
Desolazione odierna
Ora è tutto è in rovina. Molte terre sono state abbandonate o concesse in comodato d’uso a persone di fiducia.
Il canale, brulicante oltremisura di canne, richiama l’attenzione di piromani, sfaccendati, Irresponsabili. Immancabilmente colonne di fumo e vivaci lingue di fuoco si elevano verso il cielo, carbonizzando ogni essenza e lasciando tutt’intorno resti bruciacchiati, confusamente accatastati gli uni sugli altri.
Pochi giorni addietro, mentre mettevi a dimora piantine di peperoni, insalata e zucchine hai avvertito alle tue spalle da via Francigena, un crepitìo minaccioso, che ti ha allarmato, togliendoti il fiato, incitandoti a darti alla fuga.
Quando ti sei affacciato, per capire l’entità reale del pericolo, hai preso tristemente nota del disastro che avanzava lestamente, a gambe levate, bruciando voracemente canne ingiallite. Il tratto verde che costeggia il tuo orto-giardino non è stato raggiunto, essendosi formato di recente, dopo l’incendio dello scorso anno. Ma quello che fa da sfondo al podere della signora Piazzolla Marianna, gestito da Lionetti Ruggiero suo marito, si era ridotto a una caterva di sfasciume, virante nei colori del nero, della terra d’ombra, della terra di Siena, dell’ocra.
I veri responsabili
In prima battuta, responsabile, è l’Ente Riforma, che in un caso analogo è stato condannato dai giudici di Lecce a versare quarantamila euro di risarcimento al contadino che lo aveva citato in giudizio. Motivazione della sentenza… “l’Ente in questione incassa denaro dai contribuenti, senza offrire servizi.”
In secondo ordine il Comune di Barletta nella figura dei suoi amministratori, che non si attivano per tutelare strade del loro territorio e ignari cittadini.
Il sindaco, Cannito Mino, fa orecchie da mercanti. Segnalazioni gli sono pervenute, ma lui ha altro a cui pensare… a realizzare piste ciclabili che dopo due giorni si trasformano in piscine… ad avviare progetti milionari per la villa di via Canosa… ad incrementare per tutti gli amministratori i lauti guadagni.
I vigili del fuoco, intervenuti per sedare i frequenti incendi certamente hanno informato le autorità politiche.
È stato direttamente coinvolto, il Sindaco, da una moltitudine di contadini per i crateri di via Contrada Paludi, che trasformano il territorio in un paesaggio che non ha nulla da invidiare alla Finlandia ricca di oltre quattromila laghi. Tu personalmente gli hai inviato missive tramite protocollo comunale, ma la sua saggezza porta a soluzioni ritenute giustamente demenziali per i contadini: “fate una colletta e riparatevi la strada”! Sic! Una risposta che farebbe accapponare la pelle ai contribuenti onesti di tutta l’Italia.
Proposte fattibili nell’interesse dei cittadini
Il territorio delle Paludi potrebbe risorgere. Dal tuo umile osservatorio di cittadino suggeriresti…
– Realizzare orti sociali diffusissimi in tante parti d’Italia. Ad Imola con una popolazione di gran lunga inferiore a quella barlettana ce ne sono quattro, e vi ferve vita sociale, gioia e cultura. Gli anziani finirebbero di stravaccarsi sui divani, succubi di televisori assopenti la mente e il cuore, né affollerebbero i giardini pubblici della stazione, giocando a carte. La loro salute rifiorirebbe.
– Creare esperienze didattiche che si ispirino alla pedagogia di Rudolf Steiner, imparando la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del territorio dalla vita oltre che dai libri. La Finlandia, che investe cifre strabilianti per la cultura spirituale e materiale dei suoi figli, può indicare come fare.
– Offrire spazi per i pazienti dell’ospedale, relegati in corsie, pallidi, grondanti di paura, che riacquisterebbero la salute senza ricorrere a metodi invasivi e debilitanti. Basta fare un salto nella vicina Svizzera e prendere nota di come si curano gli ammalati oncologici.
***
- Pleistocene. È la prima delle due epoche i cui è suddiviso il periodo Quaternario. Compreso tra 2,58 milioni di anni fa e 11.700 anni fa, preceduto dal Pliocene e seguito dall’Olocene, l’epoca in cui viviamo.



























