
Si intitola “Una vita senza sbarre” (Cacucci Editore) il libro del dott. Giannicola Sinisi che, durante la sua carriera giudiziaria, non si è accontentato di conoscere i reati commessi, ma è voluto andare alla ricerca delle cause, scoprendo l’esistenza di un carcere che non solo non rieduca, ma non rispetta neppure la dignità delle persone, quantunque condannate per aver commesso dei crimini. Nasce così questo lavoro editoriale che segue il progetto “Senza Sbarre”, nato in collaborazione con Don Riccardo Agresti, e alla vendita dei prodotti della cooperativa “A Mano Libera”, realizzati nella comunità della Masseria San Vittore. C’è un grande bisogno di persone che si interroghino non solo sul pianeta carcere, istituzione che dovrebbe curare il reinserimento sociale, ed invece è del tutto estraneo e separato rispetto alla società in cui vive, ma su che tipo di società vogliono contribuire a realizzare, e se vogliono essere partecipi o meri spettatori del cambiamento. A spiegarcelo è lo stesso autore.
Salve, Dr. Sinisi. Perché ha scelto di scrivere il libro “Una vita senza sbarre”?
Per amicizia e per passione civile.
L’amicizia con Don Riccardo Agresti che sia impegnato in questa missione a favore dei carcerati, seguendo la sua vocazione di servire gli ultimi e la Chiesa di Andria, che sostiene questa opera.
Per passione civile, perché’ nell’ultimo scorcio della mia carriera giudiziaria non mi sono accontentato di conoscere i reati commessi, ma son voluto andare alla ricerca delle cause, scoprendo l’esistenza di un carcere che non solo non rieduca, ma non rispetta neppure la dignità delle persone, quantunque condannate per aver commesso dei crimini.
Dopo otto anni di questa esperienza ho creduto utile fare il punto, affinché altri, più giovani, maturino un interesse a proseguire questa opera, senza dover affrontare tutte le difficoltà che hanno ostacolato il cammino.
Quale continuità può offrire questo lavoro editoriale al progetto “Senza Sbarre”, nato in collaborazione con Don Riccardo Agresti, e alla vendita dei prodotti della cooperativa “A Mano Libera”, realizzati nella comunità della Masseria San Vittore?
Come ho detto più volte, io sono l’autore, ma don Riccardo è l’autore di questo progetto, ovviamente insieme a quanti gli sono stati accanto in questi anni, a cominciare dal Vescovo di Andria, mons. Luigi Mansi, ma anche da don Vincenzo Giannelli ed i volontari che si sono adoperati per agevolarne l’impresa.
C’è un grande bisogno di persone che si interroghino non solo sul pianeta carcere, istituzione che dovrebbe curare il reinserimento sociale, ed invece è del tutto estraneo e separato rispetto alla società in cui vive, ma su che tipo di società vogliono contribuire a realizzare, e se vogliono essere partecipi o meri spettatori del cambiamento.
Questa piccola opera letteraria è rivolta a tutti coloro che vogliono partecipare al cambiamento, alimentando la loro consapevolezza delle cose da fare, sporcandosi le mani con il duro lavoro che richiede un’opera di questa natura, sia fisico che morale, e senza aspettarsi gli applausi del pubblico.
Sarebbe giusto considerare tale idea come una sorta di upgrade della Legge Gozzini, intesa come detenzione educativa mirata al reinserimento sociale?
Quest’anno ricorrono i cinquant’anni della legge Gozzini, che introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento le misure alternative al carcere.
Quella legge, nata nella metà degli anni 70, quando nel nostro paese c’era una grande sensibilità sociale che ha ispirato grandi riforme specie nell’ambito dei diritti civili, aveva lo scopo anche di sedare la violenza che sempre più frequentemente si scatenava nelle carceri, che rappresentava un luogo senza speranza.
L’esperienza del progetto senza sbarre mira a proporre un modello di espiazione della pena diverso dal carcere, attraverso una utilizzazione proficua del tempo della pena da dedicare alla rieducazione, al reinserimento socio-lavorativo, scopi dettati dalla costituzione e dalle leggi, facendo un ulteriore passo avanti verso la riconciliazione tra autore e vittima del reato, e verso la rigenerazione sociale e cioè verso la ricostruzione delle condizioni di armonia e pace all’interno della società.
Ciò richiede un cambiamento di prospettiva radicale, ed uno sforzo culturale elevatissimo perché si tratta di immaginare e realizzare ciò che fino ad oggi non è mai esistito.
Durante il nostro tempo, così impregnato di giudizi ed etichette, è ancora possibile assolvere ad una funzione pedagogica dell’errore da tramandare alle generazioni future?
Negli ultimi secoli abbiamo affidato la questione penale ad una concezione meramente retributiva della sanzione, ritenendo che essa spesso esaurisse al suo interno ogni funzione, sia quella repressiva, sia quella social-preventiva.
Questa concezione si è rivelata fallimentare, dovendo fronteggiare percentuale di recidiva da record, perché’ oltre il 70% di chi è stato condannato ed ha avuto un’esperienza carceraria torna in carcere, ma è rimasta radicata nella mente non solo di che opera nelle istituzioni, ma anche in chi ha commesso il reato, il quale ha consentito lo svilupparsi dell’idea per cui una volta “pagato” il costo in termini di libertà per la violazione commessa, e per il danno cagionato, il conto con lo Stato e con la società doveva ritenersi soldato alimentando un diritto a ricominciare con i medesimi propositi delittuosi.
È chiaro che noi dobbiamo superare questa mentalità, costruendo le condizioni per cui la pena deve essere effettivamente funzionale alla rieducazione ed al reinserimento socio lavorativo delle persone condannate, nonché alla riconciliazione ed alla rigenerazione sociale, sviluppando la concezione di una pena idonea e sufficiente rispetto al perseguimento di questi scopi.
È un’opera di trasformazione culturale enorme, che richiede tempo e probabilmente più generazioni; ma questo non ci deve scoraggiare, perché oltre alla banalità del ritenere che qualcuno deve pure cominciare, c’è la certezza che questa opera della chiesa di Andria contiene in sé una visione profetica di una società che non scarta le persone, ma ne valorizza le capacità e il talento, anche al prezzo di una grande fatica.
A chi dedica la sua opera letteraria?
Principalmente a mio padre, che da un uomo onesto e rispettoso di tutti qual era, mi hai educato con il suo esempio, e non con il vuoto ridondante delle parole.
Ma anche ai miei maestri, che sono stati così grandi da farmi ritenere una persona davvero fortunata per aver potuto fruire dei loro insegnamenti.























