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Art. 575 Codice Penale (Omicidio)

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno. 

Art. 577-bis Codice Penale (Femminicidio):

Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali è punito con la pena dell’ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo si applica l’articolo 575.
Si applicano le circostanze aggravanti di cui agli articoli 576 e 577.
Quando ricorre una sola circostanza attenuante ovvero quando una circostanza attenuante concorre con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e la prima è ritenuta prevalente, la pena non può essere inferiore ad anni ventiquattro.
Quando ricorrono più circostanze attenuanti, ovvero quando più circostanze attenuanti concorrono con taluna delle circostanze aggravanti di cui al secondo comma, e le prime sono ritenute prevalenti, la pena non può essere inferiore ad anni quindici.

Faccio una doverosa premessa.

Come donna, e, prima di tutto, come  persona umana, ogni qualvolta leggo dell’assassinio di una donna da parte del marito, del compagno, del padre, del fratello e chi più ne ha più ne metta, ne traggo un nocumento così profondo che è come se, in quel momento, qualcuno mi avesse tirato un pugno dritto nello stomaco.

Trovo l’omicidio in generale, qualcosa di rivoltante, specie se chi l’ha commesso l’ha fatto di proposito.

Che poi questo avvenga nelle relazioni affettive, sancite o meno, da un vincolo giuridico, lo trovo abietto poiché all’interno di questa tipologia di rapporti la persona (uomo o donna che sia) dovrebbe sentirsi protetta, rilassata, a completo agio, amata e sostenuta.

Peraltro, le statistiche ci dicono che il “soggetto debole” di queste relazioni è la donna, spesso vittima di violenza da parte del compagno.

Di solito le donne, purtroppo, non denunciano le botte e i maltrattamenti, anche psicologici, cui vengono sottoposte dai compagni/mariti/padri che si sentono padroni dei soggetti femminili della “famiglia”. È il così detto “numero oscuro”, ovvero il sommerso, il forte differenziale, tra gli eventi verificatisi e quelli denunciati.

E spesso la deriva della violenza è la morte della vittima, quasi sempre, appunto, donna.

In Italia, a proposito di donne uccise da chi dovrebbe amarle, si parla di emergenza e, come noto, l’etichetta utilizzata per definire questi omicidi è quella di femminicidio.

Ora, qualche giorno fa, il nostro Parlamento, ed esattamente, da ultima, la Camera dei deputati, ha approvato con 237 voti favorevoli, nessuno contrario, né astenuto, il disegno di legge, (vale a dire una proposta di legge che proviene dal Governo), che introduce, nel nostro Codice penale l’art. 577 bis con la previsione della fattispecie “autonoma” del femminicidio.

Come il Senato, in luglio, anche la Camera ha votato all’unanimità, fermo restando che i presenti erano poco più della metà degli aventi diritto (gli altri deputati tutti in missione? Chissà …).

Ma ecco che qui casca l’asino.

La propaganda, che in questo Paese non si lascia pregare, ha avuto buon giuoco e larga eco per un generale “bravi, bravi! Evviva, urrà!”.

L’introduzione di questo nuovo reato sembra la bacchetta magica che farà diminuire drasticamente i “femminicidi” perché i colpevoli troveranno un potente deterrente nel rischio di essere condannati al “fine pena mai”.

In realtà, chi brutalizza ed uccide la compagna perché ne vuole costantemente rimarcare il possesso e il controllo non si farà certo dissuadere dal rischio dell’ergastolo.

Questo sotto un profilo psicologico-comportamentale.

Analizzando la norma negli aspetti più tecnici, ovvero quelli più strettamente giuridici, questo nuovo reato fa acqua da tutte le parti.

Anzitutto, introduce un reato di genere, in cui, cioè, il genere della vittima fa premio su tutto il resto. Il colpevole viene punito specificatamente perché ha ucciso una donna. Quindi, ragionando per assurdo, in una relazione eterosessuale, se la vittima è la donna,  o in una relazione omosessuale femminile, dove la vittima è certamente una donna, il o la colpevole verrebbe punito/a più severamente dell’assassino del proprio compagno in una relazione omosessuale maschile.

E già questo stride col principio di uguaglianza.

Per non dire, poi, che questo reato è un inutile doppione (un po’ come l’omicidio stradale… e nautico … Sì, abbiamo anche un omicidio nautico nel nostro codice penale, art. 589 bis!).

Il fatto è che l’omicidio di una donna da parte del compagno è un omicidio. E con le aggravanti già previste (ad esempio dall’art. 577 c.p. e non solo) la pena dell’ergastolo era già quella cui il femminicida andava incontro.

Per tacere, poi, della indeterminatezza delle circostanze in cui deve essere maturato l’orrendo crimine, per come l’art. 577 bis, sempre del Codice penale, è formulato.

E poi, chicca finale, il legislatore riconosce sempre la primazia dell’art. 575, quello sull’omicidio, al di fuori delle ipotesi circostanziali, (che ha formulato così arruffatamente, a parere di chi scrive, nella novella del 577 bis).

Ci saranno meno femminicidi d’ora in poi? Piacerebbe tanto sperarlo, ma il fondato timore è che non cambierà nulla, se non aver complicato e aggravato l’impegno di giudici e avvocati nell’aver a che fare con le nuove regole.

Per ridurre questi crimini occorre operare sulla prevenzione, ovvero sull’educazione delle nuove generazioni affinché introiettino il principio di parità tra i generi, il principio di libertà di scelta, anche affettiva, di tutte le persone, superando quella visione patriarcale e maschilista alla base del senso di possesso che spesso gli uomini hanno rispetto alle donne. E non certo perché vi sono geneticamente predisposti (ergo giustificati, vero, ministro Nordio?).

Occorre, inoltre, preparare le forze dell’ordine chiamate a gestire sul territorio le denunce delle donne abusate, spesso lasciate, invece, colpevolmente sole ad affrontare l’inevitabile destino di morte.

Ingolfare e rendere ancora più farraginosa la normativa vigente e la sua applicazione non serve a niente. O magari sì. Ad aumentare i casi di donne uccise.


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Nata a Corato, cresciuta a Ruvo di Puglia, mi sono laureata all’Università degli studi di Bari e ho insegnato per 38 anni scolastici tra le province di Milano e di Bari Diritto ed Economia Politica. Mi piacciono i libri, non da bibliofila, ma da lettrice, il cinema e la musica (Prince su tutti) e coltivo queste mie passioni costantemente. Amo la buona compagnia, ma anche un’operosa solitudine. Credo nei valori della libertà, dell’uguaglianza, del rispetto di tutte le persone e di tutte le opinioni. Detesto gli integralismi di ogni forma.

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