«Un’altra storia che racconta la quotidiana e innaturale ferocia del presente in cui ci siamo ridotti a vivere.Nicola Casucci aveva 18 anni. Faceva il rider per pagarsi gli studi e aiutare  la sua famiglia. È morto venerdì sera ad Andria, in un incidente stradale nel centro della città. Il ragazzo era in sella alla sua bicicletta per effettuare delle consegne quando, per cause ancora in fase di accertamento, è stato investito da un’automobileı

(Andrea Scanzi)

«Oggi il rischio è che l’unico scopo per cui si va a scuola è quello di trovare il proprio posto come produttori all’interno dell’economia»

(Alessandro Barbero)

Un ragazzo andriese di 18 anni è morto sacrificato sull’altare del dio Economia.

Una divinità ottusa e crudele che miete vittime ogni giorno.

Cosa sono i morti sul lavoro se non un tributo assurdo e vergognoso che i più deboli pagano quotidianamente per poter far parte del sistema produttivo onde potersi guadagnare il pane?

Andare a lavorare non avendo la certezza di tornare a casa è una di quelle disumane prospettive che non dovrebbero avere cittadinanza in una società evoluta quale noi crediamo di essere.

In questo caso, poi, si tratta di un adolescente appena maggiorenne che lavorava, assunto con regolare contratto, da talmente poco da non aver ancora percepito il primo salario.

Gli è stata fatale l’ultima consegna, poiché lui faceva il rider, e, a tarda sera, anziché essere a casa, magari già a dormire perché l’indomani aveva scuola, era in giro colla sua bicicletta a lavorare.

Un lavoro, quello dei fattorini delle consegne, – che sono stati inquadrati sotto l’etichetta di rider, appunto -che pretende da chi ci lavora gambe veloci, fiato lungo, tempi stretti, velocità di spostamento.

Una disumanizzazione dell’andare in bici, un’ansia nel fare in fretta perché altrimenti si lamenta il cliente, cui magari la pizza arriva fredda, e il datore può anche decidere che non sei idoneo a fare il tuo lavoro e, dunque, licenziarti.

In pratica, una forma di sfruttamento, un abbassamento della soglia di sicurezza, una scarsa o punta tutela del lavoratore. Per tacere del salario che non deve essere certo da nababbi.

Risultato: un giovane uomo morto.

Né si può parlare di imponderabile fatalità.

Questa morte, che personalmente mi colpisce ancora di più perché la vittima è un giovane che di vista conoscevo per averlo incrociato nei corridoi della scuola che frequentava, vale a dire l’Istituto Tecnico Economico Carafa di Andria, non avrebbe dovuto lavorare, ma solo fare lo studente ed impegnare le sue energie per studiare, uscire con gli amici a divertirsi, avere una persona amata.

E invece lavorava per mantenere se stesso e per contribuire al mantenimento della sua famiglia.

Non conta se nell’incidente in cui ha perso la vita avesse torto o ragione.

Conta solo che è stato brutalmente sottratto a chi gli voleva bene. E che era troppo giovane per andarsene.

Conta che la sua morte è l’odioso risultato di una commistione, tipica di una società malata come la nostra, tra il bisogno economico, l’abbassamento delle tutele di chi lavora, l’irrilevanza dello studio come strumento di evoluzione personale e sociale.

Pensate all’introduzione della legge sulla “buona scuola” voluta dal governo di quel “geniaccio” di Renzi.

Il lavoro come parte formativa (sic!) in alternativa allo studio, a detrimento dello studio. Meno studio e più lavoro perché la scuola deve avere come fine trovare un lavoro, anziché aprire la mente ai ragazzi, renderli consapevoli dei propri diritti e doveri, renderli critici, cittadini responsabili che hanno contezza della realtà, non di quella parvenza di realtà, mistificata ed edulcorata che ci propinano i media “embedded” con la politica.

Quanti ragazzi sono già morti mentre erano in “alternanza scuola-lavoro”?

Che razza di legge è quella che sottrae gli studenti al tempo scuola?

Eppure, ce la siamo fatta scivolare addosso, senza neanche un’alzata di sopracciglia.

Forse avremmo dovuto fare qualcosa perché rimanesse lettera morta …

Premetto che trovare un lavoro per essere economicamente autonomi è una bella cosa.

Ma compito della scuola non deve essere quello di servire il mondo del lavoro. La scuola non deve essere ancilla oeconomiae, quanto piuttosto ancilla personae.

Chi studia NON deve lavorare, il suo “lavoro” deve essere lo studio che, se fatto seriamente, è molto impegnativo.

E il lavoro deve tornare a essere centrale nella vita delle persone, deve dare garanzie di dignità, sicurezza, anzitutto mentre lo si sta svolgendo.

Deve essere protetto dalle leggi a tutela della persona e della sua centralità.

Non la persona per il lavoro, ma il lavoro per la persona, persona che deve essere istruita e libera.

Purtroppo, sono più di trent’anni (daterei dal tempo intercorrente dalla caduta del muro di Berlino fino al trattato di Maastricht) che è iniziata una deriva ultraliberista che sta producendo questi risultati di morte e di miseria. Deriva sfociata in leggi complici contro il lavoro.

E oggi la politica, italiana e non solo, si sta attivando ancor di più per precipitarci, definitivamente, nel baratro. Com’è sotto gli occhi di tutti.


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