L’intersezionalità non è un concetto astratto: in Italia, nel diritto costituzionale, trova una sua radice concreta
Arrivare in Italia da Cuba nel 1992 è stata per me un’esperienza carica di sfide: imparare una nuova lingua, adattarmi a una cultura diversa e costruire una vita in un Paese straniero non è mai semplice. In quegli anni, l’integrazione non era facile, e spesso mi sono sentita sospesa tra due mondi, tra il desiderio di affermarmi e la nostalgia delle radici. Oggi, però, posso dire con orgoglio di sentirmi cittadina italiana: qui ho studiato all’università, costruito una carriera e trovato uno spazio per esprimermi come poetessa.
La mia voce artistica si è sempre intrecciata con l’impegno civile, in particolare nella lotta contro la violenza di genere. Attraverso la poesia, cerco di raccontare la complessità di fenomeni come l’intersezionalità, mostrando come le discriminazioni si intrecciano e colpiscono più duramente chi si trova in posizione di vulnerabilità. Le donne straniere, ad esempio, spesso affrontano ostacoli maggiori per uscire dalla spirale della violenza: provengono da Paesi in cui la cultura patriarcale è più radicata e, giunte in Italia, devono confrontarsi con un sistema nuovo, linguaggi legali e procedure complesse per ottenere tutela e protezione.
Il nostro ordinamento giuridico, fondato sui principi della Costituzione italiana e in linea con il diritto internazionale, riconosce il diritto d’asilo a chi nel proprio Paese non può godere delle libertà democratiche. La legge tutela lo straniero e vieta l’estradizione per reati politici. Tuttavia, nella pratica, molte donne straniere che subiscono violenza faticano a trovare la protezione necessaria: conoscere i propri diritti, accedere ai servizi antiviolenza, e sentirsi parte di una comunità sicura rimane una sfida quotidiana. Come cittadina italiana e come donna impegnata nella poesia civile, sento il dovere di narrare queste storie. Penso che raccontare le difficoltà delle donne straniere significa anche stimolare una riflessione più ampia sulla necessità di sistemi di tutela realmente accessibili e inclusivi, e sul ruolo della società civile nel creare reti di protezione e sostegno. La mia esperienza personale dimostra che l’integrazione è possibile, ma la costruzione di una cittadinanza piena richiede tempo, diritti riconosciuti e strumenti concreti per garantire sicurezza e dignità a chi fugge dalla violenza. In definitiva, la Costituzione italiana non è solo un testo: è un punto di riferimento che ci ricorda l’impegno necessario per proteggere i più vulnerabili, e per garantire che ogni donna, indipendentemente dal Paese di origine, possa sentirsi davvero cittadina, libera e tutelata.
L’intersezionalità non è un concetto astratto: in Italia, nel diritto costituzionale, trova una sua radice concreta. L’articolo 35 della Costituzione, per esempio, afferma che “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”. Questo principio dovrebbe proteggere chiunque lavori, ma nella realtà molte lavoratrici e molti lavoratori stranieri sperimentano esattamente il contrario. Le disuguaglianze di genere si combinano con quelle legate all’origine migratoria, e così le donne straniere diventano spesso le più esposte a condizioni di sfruttamento e pericolo.
I numeri confermano che questo non è un problema residuale ma strutturale. Secondo i dati del Ministero dell’Interno e del Lavoro, i lavoratori stranieri rappresentano una quota rilevante del mercato del lavoro, ma la loro condizione abitativa, la distanza dai luoghi di lavoro e la scarsa conoscenza delle tutele li rendono un bacino facilmente sfruttabile. Senza parlare di statistiche e numeri, se ci si va a documentare, ci si può stupire del numero elevato di lavoratori irregolari, molti dei quali stranieri. Nelle mie poesie, racconto anche le morti sul lavoro, quelle vittime che spesso sono nomi stranieri rimasti nell’ombra. Penso a Satnam Singh, bracciante sikh, ucciso da un macchinario mentre lavorava in nero in un’azienda agricola vicino a Latina. Oppure penso a quante donne e uomini migranti muoiono in incidenti sul lavoro, in settori come l’edilizia, l’agricoltura o i trasporti, un tributo drammatico alle disuguaglianze sistemiche. Raccontare queste storie con la poesia significa dare voce a un dolore che spesso nessun bilancio ufficiale riesce a restituire nella sua interezza. Attraverso versi metto in luce non solo la perdita, ma anche la dignità delle vittime migranti, di chi lavora senza tutele e di chi è sfruttato.
L’intersezionalità, dunque, non è solo un tema teorico: è la lente attraverso cui guardare crisi sociali reali, entrare in dialogo con la Costituzione e la legge e chiedere che i diritti garantiti non restino parole.



























