
Con mente sorridente e cuore largo
C’era la musica di Michele Liso (chitarra), Aldo Di Caterino (flauto) e Gabriel Prado (percussioni) ad accoglierci. La location era di quelle magiche, la Tenuta Bocca di lupo, nell’agro di Minervino Murge. La cornice, la XXIX edizione del Festival Castel dei Mondi. Lui, non ha bisogno di presentazioni: è Pupi Avati.
Dovrebbe essere un dialogo a tre, con Fabrizio Corallo e Francesco Donato, ma assomiglia molto di più a un monologo, perché Pupi è un fiume in piena e parla a braccio per quasi due ore.
Ironia, autoironia, irresistibile senso dello humour, semi di sapienza sparsi liberamente e con leggerezza, a piene mani. Il pubblico era estasiato, divertito, ammirato. Continuava ad applaudire.
Pupi e Lucio Dalla. Lucio era un ragazzino quando Pupi lo ha “scoperto”. Fece un provino per suonare il clarinetto nello stesso gruppo jazz in cui suonava Pupi, pure lui un clarinetto. Il provino fu un disastro, Pupi diede a Lucio dei consigli. Lucio si ripresentò dopo vari mesi. Lo presero come secondo clarino in una tournée in Germania. Una sera, a Francoforte, Lucio si liberò in un assolo imprevisto. Fu apoteosi. Fu la fine della carriera di musicista di Pupi: «Quella sera, capii la differenza tra passione e talento». Pupi aveva passione, il talento era quello di Lucio. Decise subitaneamente di smettere e lo comunicò alla sua band.
Seguirono anni difficili. Si improvvisò rappresentante commerciale della Findus, che nasceva allora. Finché una sera non entrò in un cinema, quasi per caso. Davano “Otto e mezzo” di Fellini: fu amore a prima vista. «Andai al bar e parlai degli amici. Ero come Gesù che chiamava gli apostoli: “Tu che sai fare?”, “Il falegname”, “Bene, sarai scenografo. E tu?”, “Il sarto”, “Bene, sarai costumista. E tu?”, “Io, sono amministratore di condominio… Aiuto”, “Aiuto, cosa?”, “Io vorrei fare l’aiuto regista”». E Pupi: «Non ero ancora regista e avevo già l’aiuto regista!».
L’amore entrò nella sua vita non solo come forma d’arte. Aveva incontrato la Donna della sua vita, se ne era innamorato a prima vista. Lui, “timido e intelligente”, aveva chiesto ad un suo amico “brillante” di organizzare delle uscite insieme, per mangiare un gelato sui colli bolognesi. Erano usciti tre venerdì di seguito, ma lei lo ignorava, e gli dava ancora del lei. Finché, la terza sera, l’amico gli disse: «Stasera, l’accompagni tu a casa. Queste sono le chiavi dell’auto, vai!». Cinque chilometri di guida in silenzio, mentre Pupi non riusciva spiccicare una parola. L’arrivo sotto casa sua. Lui che prega: «Dio, aiutami!». Lei che scende. Sta per entrare, ha la mano sul cancelletto. E Pupi: «Ferma!». Lei si ferma. «Guarda!». Lei guarda. «Cosa è questo?», «Un orologio», «E che ore sono?», «Cinque minuti a mezzanotte», «E che giorno sarà tra cinque minuti?», «Il 19 febbraio», «Ecco, tra cinque minuti sarà finito il mio compleanno. Nessuno oggi, neanche mia madre, mi ha fatto gli auguri. Vuoi che il mio compleanno finisca senza neanche un bacio?». Lei lo baciò. Oggi, è ancora sua moglie. Dopo sessant’anni. «Devo dirvelo. Il mio compleanno è il 3 novembre. E di mia moglie mi sto reinnamorando…».
Così come del cinema, si direbbe. Perché Pupi, a 87 anni continua a girare film e serie tv ad un ritmo impressionante: «Ma non sono stati tutti successi e lasciatemelo dire: è durissima quando va male».
Ripercorriamo così la sua storia: «Dopo il fiasco completo dei primi due film, che non fecero una lira, mentre io avevo fatto spendere 270 milioni al mio anonimo produttore, dovetti fuggire a Roma da Bologna. Lo capii quando al bar Niagara, che non era manco il mio bar, mi fecero uno scherzo. Mi chiamarono al telefono, dicendo che mi voleva parlare il dottor Dino De Laurentiis, e quando io, tutto ringalluzzito, dissi: “Pronto, dott. Dino?”, partì una mega pernacchia da parte di tutti i presenti nel bar».
A Roma fu anche più dura che a Bologna. Anni senza sfondare. Anni di gavetta e fame. Una corte sfrenata per convincere Paolo Villaggio a leggere un suo copione. Paolo che prometteva e se la svignava. Pupi che lo insegue nel villaggio della star del tempo, Ugo Tognazzi. Paolo che gli dice di lasciare il copione su un tavolo. Pupi che lo lascia e torna a casa, guidando e piangendo.
Mesi dopo, una telefonata: «Sono Ugo Tognazzi, ho letto il suo copione, lei pensa che potrei essere l’attore protagonista di questo suo film?». E Pupi ci confessa: «Era accaduto che la moglie, mentre gli faceva la valigia, ci aveva infilato dentro il copione sbagliato: e ci aveva messo il mio! Quel giorno è cambiata la mia vita. Un miracolo! Perché i miracoli avvengono, ma bisogna meritarseli, bisogna crederci…».
L’ultima domanda che gli fanno è su cosa vorrebbe fare un film oggi. E lui confessa ancora: gli piacerebbe fare un film sulla politica odierna che è indegna e non all’altezza dei tempi. Ma aggiunge che non può, perché si metterebbe tutti contro, amici inclusi, e smetterebbe di lavorare.
Poi conclude: «Ma non voglio salutarvi con questa nota così negativa. Allora vi dico: non si può passare la vita a fare un lavoro che non amiamo. Sappiate che, se avete un sogno, si può realizzare, i miracoli avvengono, ma solo se non si ha un piano B».
Grazie, Pupi. Ci hai fatto sognare.
Personalmente, mi hai rapito così tanto che non ho preso appunti e non ho fatto registrazioni. I virgolettati che ti ho attribuito in questo sghembo resoconto sono fondati sulle tue parole così come si sono stampate nella mia mente e nel mio cuore. Mi perdonerai se non sono fedelissimi. Ma confido nella tua intelligenza sorridente: e nel tuo cuore largo.
 
			 
		