Ricordo ancora quando le provai per la prima volta. Mi sentivo una principessa. Erano bellissime. Le mie Zapatos Rojos…

Rosse.

Le mie ballerine rosse.

Le ho conservate, sembrano ancora nuove. Provo a indossarle… la magia si sta ripetendo; volteggio davanti allo specchio… mi sento ancora una principessa. Continuo a volteggiare senza fermarmi, non riesco, provo a farlo, ma i miei piedi non si fermano.

“Devi ballare” le disse “ballare con le tue scarpe rosse finché non diventerai debole e pallida! finché la tua pelle non si raggrinzirà come quella di uno scheletro! dovrai ballare da una casa all’altra, e dove abitano bambini superbi e vanitosi, devi bussare, così che ti sentano e abbiano paura! Devi ballare, ballare…!” “Pietà!” gridò Karen. Ma non sentì la risposta dell’angelo, perché le scarpe la portarono attraverso il cancello, fuori nei campi, per strade e sentieri, sempre ballando.

La magia delle scarpette rosse, la fiaba di Andersen che mia nonna mi raccontava sempre quand’ero piccola.

Mi fermo e ripenso a Karen, la protagonista, costretta a danzare finché non decide di farsi amputare i piedi con le scarpette.

Avevo rimosso questi ricordi della mia infanzia fino a quando non ho visto per la prima volta l’immagine di centinaia di scarpe rosse, “Zapatos Rojos”: un’installazione collettiva d’arte pubblica, realizzata per la prima volta a Ciudad Juarez nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet. Anche lei testimone della violenza contro le donne. Ciudad Juárez, la città del male, come è stata ribattezzata, è una città di frontiera nel nord del Messico: lì centinaia di donne vengono stuprate e uccise con un rituale che prevede la tortura, la violenza sessuale oltre a mutilazioni e strangolamento. A questi casi di femminicidio si aggiungono i casi di ragazze scomparse nel nulla, che non fanno mai ritorno a casa, mentre la polizia e il governo locale e federale rimangono inermi.

Ogni anno l’installazione della Chauvet viene riproposta per dire basta alla violenza di genere e il rosso è diventato il colore simbolo nella lotta contro la violenza sulle donne. Perché il rosso è il colore del cuore, è il simbolo dell’amore, della passione, una passione ferita, violata, uccisa, quella delle donne che subiscono violenza. Non solo quelle che vengono brutalmente uccise dai mariti, dai compagni, dal vicino di casa, ma donne che subiscono violenze ogni giorno, una violenza più sottile, più celata, quella psicologica, di chi ci è accanto e ci vuole annientare e lo fa in modo subdolo, facendo leva sulle nostre fragilità, sui nostri punti deboli, facendoci sentire in colpa, denigrandoci, umiliandoci. E ci uccide, ogni giorno, a piccole dosi. E noi da vittime diventiamo i loro carnefici e ci convinciamo di essere sbagliate, di non essere all’altezza della situazione, ci convinciamo di essere noi a infliggere, a chi ci è di fronte, le ferite che ci infligge. E ci aggrappiamo ancora di più a quel carnefice che ci ha annullato come persone, perché è l’unica possibilità che ha per affrontare la nostra forza, la nostra energia, la nostra voglia di vivere, l’unica possibilità di affermare la sua personalità su di noi. Perché non ci può possedere. E ci regala un paio di scarpette rosse. E noi le calziamo, come Karen, e cominciamo a ballare senza mai fermarci, una danza verso l’abisso, verso la morte.

Karen si ferma, chiede a un boia di tagliarle i piedi. Facciamolo anche noi. Togliamo le scarpette rosse e gettiamole in faccia ai nostri boia. Saranno il trofeo per la nostra vittoria.