L’anno scorso, a fine agosto, dopo la fuga dal proprio paese, Yusra era a bordo di un barcone. Erano in venti su quella chiatta, più la morte che faceva i suoi calcoli…
Sarà la diciannovenne Yusra Mardini a sventolare la bandiera dei rifugiati nella notte inaugurale di Rio.
L’anno scorso, a fine agosto, era a bordo di un barcone, in fuga dal proprio paese: la Siria. Erano in venti su quella chiatta, più la morte che faceva i suoi calcoli. Avrebbe voluto spegnere il sorriso dell’adolescente, mummificarne il corpo atletico e flessuoso, inabissarlo e prosciugarlo di energia vitale. Dopo un tentativo di apnea, darlo in pasto ai pesci. Amen!
Il legno muto – potenziale sepolcro di naufraghi – stava per affondare nel mare Egeo, davanti all’isola di Lesbo, con il suo prezioso carico umano, quando Yusra si è tuffata in acqua seguita dalla sorella Sarah e da un’altra donna. Insieme, battendo i piedi e mulinando le braccia per tre ore, hanno vinto la corrente marina e sono riuscite a spingere il natante fino a riva, sorrette dalla forza della disperazione. All’olimpiade della vita si sono iscritte in quel contesto.
Cresciuta a Damasco, dove già ragazzina affrontava gare internazionali di nuoto, Yusra è scappata con la famiglia dopo un bombardamento che le ha sbriciolato la casa. Le ha frantumato i sogni, spappolato gli affetti, polverizzato l’infanzia: nel corso di una guerra che i belligeranti si ostinano a definire “civile”.
Yusra ha raggiunto il Libano a piedi, poi la Turchia. Da Izmir è salpata per la Grecia con altri venti migranti; troppi, su un mezzo omologato per sette e con il motore in panne. Imbarcava acqua, e sarebbe stata la fine, senza l’audacia della giovane siriana.
Oggi il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) la inserisce fra i dieci atleti selezionati per il refugee olimpic team: la squadra dei rifugiati! La rappresentanza degli scampati! Il team dei senzaterra!
È una novità assoluta nella storia dello sport: consiste nell’accogliere atleti di valore, costretti a migrare per allontanare la violenza e l’insostenibilità del vivere, e permettere loro di misurarsi nella massima competizione sportiva vestendo una bandiera inedita, quella del CIO. Un vessillo di respiro intercontinentale, che esprime l’anelito dell’abbraccio circolare all’umanità.
Sei uomini e quattro donne. La squadra dei rifugiati comprenderà cinque atleti del Sud Sudan (i mezzofondisti Yech Pur Biel e Paulo Amotun Lokoro, il quattrocentista James Nyang Chienggjiek, le podiste Anjelina Nada e Rose Nathike), un etiope (il maratoneta Yonas Kinde), due congolesi (i judoka Popole Misenga e Yolande Bukasa Mabika), e altrettanti siriani (i nuotatori Rami Anis e Yusra Mardini, appunto). Non più aggregati a rappresentative nazionali, ma accomunati dal labaro dell’umanità coesa. Yusra per portabandiera!
La ragazza è felice d’inaugurare una pagina esemplare di civiltà sportiva e ambisce a contagiare, con la freschezza della sua figura, la sfera umana e sociale.
«Diventerà il volto simbolico di sessanta milioni di migranti, la turba dei nuovi poveri – bambini, adolescenti, giovani, adulti – che rivendica dignità umana, libertà dai confini territoriali, sostegno nel ricominciare a vivere», afferma Thomas Bach, presidente del CIO.
E Yusra, insieme alla sua amica Yolande: «Dobbiamo salire sul podio per dare speranza a chi scappa dalla terra che ama, e nella vita desidera continuare ad amare».