
– Dopo ci fissiamo stremati, la testa appoggiata sullo stesso guanciale, ed esclami:
— S’agapò tora ke tha s’agapò pantote.
– Cosa significa?
— Significa: ti amo ora e ti amerò sempre.
– Ripetilo…
— Lo ripeto sottovoce…
– E se non fosse così?
— Sarà così.
– Tento un’ultima vana difesa: niente dura per sempre, Alekos. Quando tu sarai vecchio e…
— Io non sarò mai vecchio.
– Sì che lo sarai. Un celebre vecchio coi baffi bianchi.
— Io non avrò mai i baffi bianchi. Nemmeno grigi.
– Li tingerai?
— No, morirò molto prima. E allora sì che dovrai amarmi per sempre…
(Da “Un uomo” di Oriana Fallaci)
Le 15:00 di un afoso pomeriggio meridionale, mentre qualcuno dal nord mi ha comunicato anche di forti piogge iniziate d’improvviso ed altrettanto rapidamente concluse.
Sto aspettando la telefonata di mio figlio, dobbiamo organizzarci per trovarci in un certo luogo e per un certo motivo.
Il cane russa ai piedi del letto, chi sta meglio di lui?
Intanto leggo la Fallaci, anche se poco importa essere la Fallaci.
Mi ha bloccata il senso delle parole, o meglio, il modo. E non del racconto, ma del dialogo.
Ove fosse esistito, si sarebbe trattato di un dialogo fra persone vere che sanno ciò che si stanno dicendo e non stanno vagando nel nulla cosmico: un dialogo tangibile. La sequenza di parole, scritta come fosse un disegno in sostanza, mi ha fatto figurare davanti agli occhi un uomo che parla con convinta fermezza, mentre dice qualcosa che oggettivamente sfugge al controllo umano.
Che ne sa della sua morte e dei tempi di quella?
Eppure si esprime con tale convinzione!
Intendo, io che leggo, onestamente, gli ho creduto.
Immagino gli creda anche la persona che lo ascolta o gli avrebbe creduto la persona che lo avrebbe ascoltato se non fossero stati solo personaggi di Oriana.
Mio figlio ha interrotto il flusso dei pensieri, la telefonata è arrivata.
Lo raggiungo.
E pensando a lui nasce un auspicio: vorrei diventasse un uomo concreto così, che dice cose assurde in modo convincente, fino a renderle vere.
Vorrei che approdasse un giorno nell’isola che per molti non c’è, ma che io ho sempre sognato come esistente: quella dal nome Volere è Potere, dove le albe diventano tramonti e i martedì diventano sabato.