«Le cose non sono tanto dolorose o difficili di per se stesse: è la nostra debolezza e la nostra viltà che le rendono tali»

(Michel de Montaigne)

Avevo bisogno di uscire.

Niente di strano? Beh, è tutto molto relativo: detto da me è quasi alieno. Io sono una della comitiva di inizio Covid, quella che diceva noi asociali salveremo il mondo. E che non scherzava. Non ho fatto nessuna fatica a tenere lontano l’emisfero e, diciamocela tutta, ancora non ne farei se non esistessero le variabili impazzite, il previsto imprevisto (come direbbe qualcuno che conosco).

Cosa ci sarà mai? Sento per caso la mancanza del contatto umano? Eh no, proprio no. Non mi è stato concesso di essere un’eremita, in questa vita, ma mi è stata riservata quella strana caratteristica che è la misantropia, o meglio l’esatta patologia di chi nel mondo ci vive sempre e, proprio per questo, non può esimersi dal vedere tutto quanto lo rende detestabile.

Mi riferisco a quel lato luminescente e superficiale che, di fatto, ne oscura la bellezza. Esiste e si fa sempre più intollerabile, specie adesso che questa situazione di degrado pandemico e mentale si è trasformata in una specie di spirale discendente, che non lascia intravedere nemmeno con il binocolo il tragitto che dovrebbe portare alla sua fine.

E dunque cosa ci sarà mai?

Sono uscita e non sono andata ad incontrare proprio nessuno. Ancor meno volevo andarmene in giro per paesaggi sterminati e incontrare profondissima quiete: più inquieta ed irrequieta di me, ora, nemmeno una cavalletta sotto oppiacei.

È, però, spuntato l’imprevisto prevedibile, diverso da quello di cui sopra. Sono solo andata in un supermercato dove non metto mai piede. Volevo un posto che mi costringesse a concentrarmi poiché sconosciuto e che lo facesse pur portandomi a pensare solo banalità tipo: chissà dov’è lo scaffale della candeggina… Cerchiamolo.

È stato proprio nel momento in cui ero persa in mezzo ai detersivi e stavo bene perché apprezzavo i mille colori delle confezioni, che ho incrociato qualcuno. Mi ha letteralmente bloccata, pur senza toccarmi e non ha smesso di fissarmi dritta negli occhi, oltre la mascherina.

Alla fine, senza neanche dirmi ciao, ha sentenziato: concediti il poco. Non pretendere molto da te. Sentiti felice per le poche cose che riesci a portare avanti e per le ancor meno che riesci a portare a termine. Non pensarti indistruttibile, riconosciti fragile, senza fiato e senza forze, bisognosa di compassione, necessitante di comprensione. Non mentirti, raccontati la verità, poiché farlo fa di te una persona viva. E oggi, più di ieri e meno di domani, questo devi essere: viva, non grande.

Ho ascoltato. Non ho esattamente assorbito, ma ho ascoltato con attenzione.

Per inciso, in mezzo a quelle corsie sconosciute, ero solo finita davanti a uno specchio. Poco convincente, al momento, ma di fatto uno specchio.


Articolo precedenteIL CIBO (NON) FA PAURA
Articolo successivoUNA CONFERENZA PER RIPENSARE L’EUROPA
Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.