“Stop alla violenza di genere. Formare per fermare”
Molto si è detto in merito alla violenza sulle donne, ma se le parole pronunciate non vengono ponderate correttamente, il rischio è che il dolore si accentui non solo nelle ferite dei corpi dilaniati dalla prevaricazione fisica ma anche, e soprattutto, nella serenità psicologica attentata da quella, forse avventata, esposizione verbale.
Durante la tappa fiorentina del progetto “Stop alla violenza di genere. Formare per fermare”, promosso dal Gruppo Menarini e accreditato dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti, è stata sollevata la questione delle cosiddette “parole da bollino rosso ”, un vademecum comunicativo adeguato per chi intenda rivolgersi alle donne vittime di stupro o maltrattamenti, un linguaggio appropriato che aiuti i professionisti dell’informazione, e non solo, a sensibilizzare l’opinione pubblica su argomenti delicati macchiati da silenzi e sopraffazioni.
Aumentare in chi ascolta la consapevolezza del problema fa emergere, a chiare lettere, l’urgenza di porre l’accento su dinamiche troppo spesso argomentate marginalmente e con colpevole superficialità.
«I dettagli scabrosi che non aggiungono nulla alla cronaca spostano l’attenzione dell’opinione pubblica sulla vittima, anziché sulla ferocia dell’aggressore. – sottolinea Vittoria Doretti, direttore UOC Promozione ed Etica della Salute e Responsabile della Rete Regionale Codice Rosa della Regione Toscana – Soffermarsi su “come era vestita la vittima” o descrivere in dettaglio le ferite è come sottoporre le donne a una seconda violenza». A farle eco è Alessandra Kustermann, direttore dell’Uoc del pronto soccorso Ostetrico-ginecologico e del Soccorso Violenza Sessuale e Domestica del Policlinico di Milano: “Usare le parole giuste fa sì che l’opinione pubblica percepisca il fenomeno per come è davvero. Lo straniero solo raramente è l’aggressore; quando i media sottolineano l’etnia dell’aggressore, invece che la violenza inaccettabile che è stata subita dalla donna, spostano l’attenzione sulla diversità anziché sull’omogeneità dei comportamenti“.
La violenza di genere riguarda, purtroppo, tutte le culture, le etnie e le religioni, e additarla solo ad una ”categoria” di persone è un’ulteriore forma di razzismo che non cautela minimamente le donne. Una più precisa terminologia può far cambiare l’atteggiamento delle nuove generazioni, provocando disprezzo verso gli eloquenti numeri dello scorso anno, un 2018 in cui, solo in Italia, sono state uccise 69 donne, e altre 7 milioni sono state picchiate.
Che dire, non ci sono parole!