Il 30 marzo 2020 il parlamento ungherese ha approvato con 137 voti favorevoli, 53 contrari e 9 astenuti un pacchetto di misure che conferisce pieni poteri senza limiti di tempo al primo ministro Viktor Orban, nonché leader dell’attuale partito di maggioranza Fidesz.

In questo modo l’Ungheria diventa sostanzialmente una dittatura. Dal 31 marzo il premier può legiferare direttamente attraverso decreti senza il controllo del parlamento, chiudere l’organo legislativo a sua discrezione, modificare o abrogare leggi già in vigore, indire o cancellare le elezioni quando vuole. Ancora, spetta a lui porre fine allo stato di emergenza, in un paese che al momento in cui scriviamo conta 500 contagiati e 15 morti. Da ultimo, sono state introdotte pene detentive fino a 5 anni per chi diffonde fake news sulla pandemia.

Il voto del 30 marzo del parlamento ungherese segna l’ultimo colpo inferto, in termini temporali, allo stato di diritto. Difatti, Orban e il suo partito hanno avviato l’Ungheria verso un regime sempre più illiberale, attraverso riforme costituzionali e legislative, dal 2010: anno in cui il leader di Fidesz è diventato premier per la prima volta.

Nel 2012, forte della maggioranza dei due terzi ottenuta in parlamento, promuove l’approvazione di una nuova Costituzione. Quest’ultima diventa presto oggetto di attenzione da parte del Parlamento Europeo (PE) per via di alcune criticità. Il testo costituzionale si pone infatti ictu oculi in contrasto con uno dei valori fondamentali dell’UE elencati all’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE): lo stato di diritto. Invero, attraverso l’introduzione di un emendamento costituzionale la Corte Costituzionale non può più pronunciarsi sul merito delle revisioni costituzionali, restando confinata ad esercitare poteri meramente formali. Sempre in ambito giudiziario, diverse riforme dei governi Orban hanno portato ad una sempre più massiccia ingerenza del governo nell’autonomia della magistratura. Con una riforma del 2012 viene abbassata l’età di pensionamento dei magistrati, in modo tale da poter introdurre giudici vicini al governo nelle posizioni più apicali. Questa manovra è stata condannata dalla Corte di Giustizia con una sentenza per violazione di una direttiva del 2000.

Oltre alle molteplici violazioni dello stato di diritto, la nuova costituzione e le numerose riforme dei governi Orban hanno comportato anche la diminuzione delle libertà fondamentali, in particolar modo della libertà di stampa, della libertà di espressione e della libertà religiosa. Sono state represse, inoltre, le libertà e i diritti delle minoranze etniche, dei migranti, dei richiedenti asilo e delle persone LGBT.

Tutte queste minacce ai valori irrinunciabili e fondanti dell’UE di cui all’art 2 del TUE, hanno allarmato il PE, tanto da spingerlo a redigere un report che evidenziasse dodici settori in cui si sono verificate le maggiori problematiche. Tra questi spiccano il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale (il secondo danneggiato dalla perenne propaganda portata avanti dal governo attraverso i mezzi di comunicazione), l’indipendenza della magistratura e il rispetto dei diritti umani.

A seguito delle gravi e persistenti violazioni dei valori dell’UE, il 12 settembre 2018 il PE ha chiesto l’attivazione della procedura di infrazione prevista dall’art 7 dello stesso trattato. La norma prevede un meccanismo di controllo sulla condotta degli stati che consente di reagire a violazioni gravi e persistenti dei valori fondanti dell’Unione, previsti dall’art 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). La scelta è avvenuta a larga maggioranza e ha segnato una svolta storica per l’UE. Tuttavia, dopo la votazione la palla è passata al Consiglio che però non si è ancora pronunciato. Infatti, per la deliberà sull’avvio della procedura è necessaria l’unanimità, e l’Ungheria è consapevole di poter contare sulla Polonia per la bocciatura della delibera stessa.

Se oggi assistiamo a questo autogolpe è anche per colpa della miopia e della immobilità dell’UE stessa, che nonostante le reiterate denunce del PE in merito alla graduale deriva autoritaria dell’Ungheria, ha fatto di tutto per non applicare l’art 7, la cui attuazione avrebbe comportato la sospensione di alcuni diritti dello stato sanzionato all’interno degli organi UE.

L’esperienza ungherese è la dimostrazione di come abili politici e aspiranti dittatori del calibro di Orban possano cambiare gradualmente ed impercettibilmente il volto democratico di un paese, così da arrivare alla svolta finale, che concentra tutti i poteri nelle mani di una persona, senza che i cittadini di quel paese se ne possano realmente rendere conto. Ancora una volta in Europa, nonostante l’esperienza delle dittature fasciste che hanno flagellato il continente nel secolo scorso, un parlamento mette fine alla sua esistenza, alla sua legittimità e al suo potere, per dare pieni poteri al primo ministro. Ancora una volta, proprio perché la storia si ripete, una dittatura nasce con il beneplacito del parlamento.

In Italia i leader dell’opposizione Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che fino a ieri sbraitavano perché a loro avviso il parlamento italiano era stato dimenticato in questa emergenza, hanno accolto con entusiasmo la deriva autoritaria di Orban che ha di fatto chiuso il parlamento.

In conclusione, chi in questo momento pensa sia giusto invidiare le sorti dell’Ungheria e ritiene di dover lodare le parole di questi aspiranti dittatori che sono Salvini e Meloni, che ne sia consapevole o meno, sta facendo il gioco dei veri nemici della democrazia.
E coloro che legittimano le espressioni di politici che vorrebbero per il proprio Paese lo stesso modello illiberale, adducendo come patetica giustificazione quella del patriottismo, dovrebbero essere dichiarati nemici della Repubblica.