Dopo i recenti fatti di Parigi, ci si aspettava una veemente reazione della Francia che puntualmente è arrivata.
È arrivata sia a livello interno con il blitz delle forze speciali a St. Denis nel covo dei presunti ideatori della strage, sia sul fronte della politica estera, col movimento di portaerei nel Mediterraneo e l’intensificazione dei bombardamenti sui territori occupati dallo Stato Islamico (IS), in particolare su Ar Raqqah.
Inevitabile in questi casi che il dibattito e l’opinione pubblica si siano divisi tra chi ritiene giusto questo intervento e chi no.
Le motivazioni a sfavore dei bombardamenti hanno due pilastri: lo shock dei recenti attacchi a Parigi – tra le motivazioni degli attentatori, c’è l’intervento militare dei francesi in Siria – e il precedente in Libia, con la destituzione di Gheddafi e la mancanza di seguito politico all’azione militare. Con un Paese lasciato a sé stesso, diviso in due ed oggi anch’esso covo di terroristi, tagliagole e criminali prestati al fanatismo, la Libia è l’esempio lampante di come “non si fa”. A maggior ragione nel 2015, con l’opinione pubblica dotata di strumenti necessari all’accesso di un’informazione dettagliata e, purtroppo, anche ad una controinformazione complottista, fuorviante ma sempre più dilagante.
Mi rendo conto che “il cosa sarebbe successo se…” non è un modo molto obiettivo di affrontare le situazioni, ma è una delle basi dei discorsi “interventisti”.
Cosa sarebbe successo se Hitler fosse stato fermato – per esempio – prima di invadere la Polonia?
È chiaro che non sapremo mai la risposta, ed è altrettanto chiaro che quella è Storia e la nostra è attualità. La differenza sostanziale è negli strumenti che abbiamo a disposizione per informarci e crearci una nostra opinione, ma anche che il mondo intero ha creato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Uno di questi è l’ONU.
Ritengo che le Nazioni Unite debbano svolgere un ruolo da attore protagonista nella disputa, fondamentale in questo momento storico. Appoggiare le azioni contro l’IS, ma con sorveglianza costante e patti precisi: è inconcepibile che l’unica forza militare presente sul territorio, l’esercito autonomo curdo, sia coccolato – a dovuta distanza – dagli occidentali e oppresso dai turchi (i primi che, in teoria, dovrebbero avere interesse nella scomparsa dell’IS).
Così come ritengo inconcepibile che gli effetti della primavera araba – rivolte popolari in tutti gli stati islamici, per ottenere maggiori diritti e democrazia – in Siria abbiano sortito quattro anni di repressione militare da parte del governo di Al Assad sui cittadini, trascurando – e magari avvalendosi come spauracchio – l’espansione di un nugolo di criminali in un autoproclamatosi Stato a sé stante.
La destituzione di Al Assad, la creazione di un territorio solidale per i curdi, la ricostruzione di un Paese attraverso canali umanitari, diritti civili e libere elezioni e l’indipendenza totale da interessi stranieri della Siria che verrà, è l’unico senso che può avere questo intervento militare. E l’ONU non può guardare dall’altra parte, né può essere escluso da un modello simile.
E l’opinione pubblica? Dovrà pretendere una giusta informazione, essere attiva e giudice sovrano di quelle che saranno le azioni politiche dei prossimi 20 anni. Gli oppressori, oligarchi e lobbisti non dovranno avere spazio di manovra. Gli atti parlamentari andranno letti tutti. Perché è da qui che passa il futuro del mondo.