La necessità di una autentica compassione per ogni vivente

I giorni passati a casa, per questa emergenza, chiedono di essere letti in maniera sapiente. Personalmente mi sono rifatto alla Scrittura e la prima chiave ermeneutica che ho trovato è stata la famosa espressione del Qoelet: *Vanità di vanità, tutto è vanità*.

Ho pensato a quanti assoluti nella vita di tanta gente sono venuti meno, con quante destrutturazioni di pseudo-certezze si è dovuto fare i conti e di come una società fondata sui consumi e sulle regole della economia, in così breve tempo, rischia di cedere sugli ingannevoli pilastri poggiati sulla sabbia dell’apparenza.

Accanto a questa espressione del Qoelet mi è venuto in mente il libro di Giobbe, sempre un testo sapienziale, che legge la vita umana poggiando tutta la sua articolazione letteraria e poetica sul dolore. La morte, la malattia e la disperazione che abbiamo visto, in questo tempo, sembra un commento moderno alla ineludibile questione del male, posta da Giobbe nei confronti di Dio stesso.

Nelle mie riflessioni però ho trovato molto giovamento in un ulteriore testo sapienziale: Il Cantico dei Cantici. Se Qoelet mette al centro la Vanità e Giobbe il Dolore, il Cantico dei Cantici canta l’Amore. L’amore del Cantico ha i colori della primavera, vive il dramma della ricerca, della fatica e della prova, ma celebra soprattutto l’intimità e l’incontro.

Questo tempo può essere letto come una possibilità di intimità con noi stessi, di un ritorno per una profonda “simpatia” nei confronti dell’umanità, uno spazio per rileggere le nostre passioni, i nostri sogni e reimpostare sapientemente i nostri desideri.

“L’amore che tutto vince” è ciò che non passa. Sia l’amore la riscoperta più vera di questo tempo riconoscendo, nel dolore che ci ha pervaso, la necessità di una autentica compassione per ogni vivente, in particolare per l’umano, liberandoci da inutile e fatua vanità.