Sin da subito interessato alle materie umanistiche, il filosofo scozzese ambì a divenire il Newton della natura umana

I suoi lavori letterari furono accolti con grande favore dai rappresentanti della cultura illuministica. Fu così che David Hume si guadagnò un posto tra gli autori più rappresentativi del secolo dei lumi. Durante la sua vita, il pensatore scozzese si dedicò molto allo studio della filosofia, ma non riscosse un successo direttamente proporzionale al suo impegno. Diversamente accadde per le sue opere legate alla storia. Tuttavia, Hume ha registrato un importante traguardo: i suoi stimoli hanno mosso molteplici filosofi, tra i quali si ricorda Kant, il quale ritenne che lo scozzese fosse stato la persona che lo aveva risvegliato dal suo “sonno dogmatico”.

La fondamentale caratterizzazione innovativa di Hume sta nello scetticismo nell’indagine sul mondo esterno. Il filosofo scozzese riteneva che la natura dell’uomo fosse costituita più da sentimento e istinto che da ragione, contrariamento a quanto pensassero gli illuministi. Per Hume la ragione era come un istinto che favoriva le credenze e il dubbio in quanto tipico dell’essere umano. David Hume nacque nel 1711 ad Edimburgo, in Scozia. Nonostante non fosse la sua scelta preferita, studiò giurisprudenza per accontentare la famiglia, appartenente alla piccola nobiltà terriera. Infatti, lui era attratto dalle materie umanistiche: amava leggere autori classici come Virgilio e si appassionò alla filosofia al punto tale da voler attuare una rielaborazione dello studio dell’uomo dopo aver raggiunto la maggior età.

Ebbe un esaurimento nervoso a causa della tanta attività intellettuale; seguirono crisi depressive, superate grazie a molteplici cure mediche. Svolse l’attività forense a Bristol, ma  non con successo, non essendo la sua passione. Nel 1734 si trasferì a La Flèche, in Francia, al fine di poter studiare più proficuamente; così, nacque la sua opera maggiore, pubblicata tra il 1739 e il 1740, il “Trattato sulla natura umana”. In quest’opera il filosofo mirava a essere il Newton della natura umana, con l’applicazione del metodo sperimentale allo studio dell’uomo. L’opera non riscosse inizialmente successo.

Hume ritornò al di là della Manica e qui, pochi anni dopo, pubblicò nel 1742 la prima parte dei “Saggi morali e politici”, ottenendo successo. Dopo esser stato rifiutato dall’università della sua città per una cattedra di filosofia, entrò nel mondo della politica, trasferendosi prima in Austria e poi nel Belpaese. Nel 1748 si trovava nella città della Mole Antonelliana quando a Londra fu pubblicato lo scritto “Ricerca sull’intelletto umano”, una rielaborazione più semplice della prima parte del Trattato. Qualche anno dopo svolse il ruolo di bibliotecario alla Facoltà degli avvocati di Edimburgo; in tal modo, ebbe la possibilità di elaborare l’opera “Storia di Inghilterra”, che fece accrescere la sua fama; si tratta di un’analisi di arco di tempo a partire dall’invasione di Giulio Cesare fino all’ascesa di Enrico VII. Si spostò di nuovo in Francia, dove rivestì l’incarico di segretario dell’ambasciatore inglese, a Parigi.

Nel 1757 avviene la pubblicazione dell’opera “Storia naturale della religione”, uno dei maggiori lavori del filosofo inglese, che verte sul concetto del monoteismo, molte volte scartato in favore del più aperto politeismo. Rimase fino al 1766 nella capitale francese, collaborando con i maggiori intellettuali. Quando tornò in Inghilterra, ospitò Rousseau; sorsero, però, dissapori tra i due a causa del carattere difficile del francese e il rapporto di amicizia terminò. Hume poté poi permettersi un’esistenza agiata assieme a sua sorella; morì il 25 agosto 1776 a Edimburgo.

Attualmente del filosofo scozzese si ricorda la legge soprannominata “la ghigliottina di Hume’’. Secondo tale legge bisogna sempre distinguere ciò che è e ciò che deve essere; non si può passare da proposizioni indicanti fatti a proposizioni indicanti valori. Si tratta di un modo per conoscere l’essere umano, un’etica. Basandosi sui fatti, la scienza, per David, non può aver a che fare con l’etica; la questione, però, è tuttora aperta. Alcuni filosofi, come Moore e Austin, hanno ripreso tale legge. Nel caso del filoso inglese Moore, egli, nel 1900, riprese tale legge, sostenendo che non fosse possibile basare l’etica su una qualunque forma di conoscenza; un esempio è costituito dal concetto di bene, che non è conoscibile in modo razionale, ma che è intuibile nella sfera soggettiva delle emozioni. Dalla legge del filosofo scozzese, Moore deriva il suo concetto di fallacia naturalistica, che porta a far derivare prescrizioni da descrizioni.


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Nato a Bari nel 2003, vive e frequenta il Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” a Bisceglie. Si definisce un amante delle materie scientifiche, pratica il calcio amatoriale e l’attività fisica e tifa per il Milan, per il quale nutre una autentica venerazione. Ama il mare e la campagna, il buon cibo e la vita all’aria aperta. Musicalmente preferisce ascoltare brani italiani, in special modo quelli di Ultimo e Tommaso Paradiso, ma ascolta anche brani stranieri, come quelli di Shawn Mendes e Bruno Mars. Non rinuncia mai ad una serata in compagnia di amici, specie se sono quelli con i quali è facile parlare di sport ma anche di altri piaceri come quelli de la bonne vie. Desidera viaggiare e visitare in particolare le città d’arte. Scrive per esternare le sue passioni.