Questa estate: trenta giovani bielorussi in accoglienza a Terlizzi, cinquemila in Italia
Poi ripartono, per ritornare, come in un’Odissea contemporanea
Il caldo abbraccio di benvenuto sintetizza la gioia dell’accoglienza e il bouquet delle attese.
La liturgia che fascia di speranza i ragazzi e le ragazze provenienti dalla Bielorussia con le tossine di Chernobyl sottopelle e un’ansia di vita rigenerata nel cuore, si rinnova puntualmente due volte l’anno. Cinquemila ragazzi ospitati temporaneamente in Italia, trenta in città, grazie all’Associazione Accoglienza senza Confini Terlizzi Onlus presieduta da Paolo Leovino.
L’auspicio è che ogni permanenza possa servire alla salute dei giovani d’Oltralpe, al loro benessere psichico e affettivo, a stemperare le difficoltà di una vita condotta altrove in stato di abbandono o di precarietà a causa di quelle radiazioni maledette e persistenti che impoveriscono il territorio e minacciano l’integrità fisica.
Per fortuna, o per grazia, ci sono i “genitori accoglienti”, la cui principale virtù consiste nella gratuità. Ora che li conoscono, farebbero salti mortali pur di afferrare i polsi dei ragazzi sdoganati da Minsk per un soggiorno ritemprante, e portarli in acrobazia nel loro nido familiare, anche a costo di avvitamenti carpiati imposti dalla ristrettezza economica che i tempi esigono.
Grazie, dunque, a chi ospita i ragazzi, e alla rete di volontariato che sostiene l’esperienza di accoglienza, fatta di psicologi, medici, comunicatori, aiutanti… dal cuore grande. Ma grazie anche ai ragazzi che arrivano e ripartono per tornare, come in un’Odissea contemporanea. Ci aiutano!
A sconvolgere la vita. Troppo ordinata e organizzata. Con il rischio di diventare piatta. Troppo programmata e risaputa. Priva d’imprevisti. Senza scosse. Senza intermezzi di stupore. Senza brividi di novità.
Kristina e Alena, invece, la vivacizzano fin dal primo approccio. La scompigliano. Esigono attenzioni continue, non brandelli d’interesse! Provano a sintonizzare gli animi su frequenze diverse dall’abitudine. Insomma, è un’altra musica.
Ci aiutano ad abbattere i muri, quasi fossero genieri di umanissimi ponti che sbaragliano ogni separazione leghista, ogni nazionalismo irredentista.
Negli occhi di Sacha c’è il sogno di un’umanità coesa e solidale. Cordiale, prodiga, inclusiva. Aperta alla prossimità. Condivisa. Anticipatrice di ciò che sarà. Ossigeno per i polmoni dell’intercultura.
Ad accrescere la gratuità, nel momento in cui domina il calcolo e l’interesse. Il denaro è ormai un idolo e cerca di diventare l’assoluto.
Ma la priorità è il volto di Anastasiya. Un pozzo di novità, la cui freschezza non ha eguali.
A toccare la carne di Cristo: una lezione di tenerezza che abbatte ogni distanza farisaica.
L’abbraccio di Ivanna è un’esperienza dello spirito. Lo impari e ti rimane per sempre.
A contemplare la bellezza che il Signore semina anche negli angoli più remoti del pianeta, in cui si addensano cumuli di scarti procurati dalla negligenza e dall’indifferenza umana.
Negli occhi profondi di Marlena ti perdi. Sai che è in remissione oncologica e non affoga nella disperazione, anzi prova a danzare la vita. E così rende la sua bellezza ancora più contagiosa.
A parlare lingue diverse. Il cirillico è un alfabeto impossibile. Il linguaggio dei segni fa supplenza. C’è dunque la pentecoste dei gesti. L’eloquenza di un “ti voglio bene” non detto a parole ma con lo sguardo carezzevole.
Come in Pavlina, che con pochi lemmi è in grado di impartire lezioni di civiltà dell’amore.
Una partita aperta, insomma, quella che ogni volta comincia con l’approdo di questi ragazzi in terra straniera (la nostra), in cui diventerebbero volentieri indigeni.
Però ripartono, per ritornare. Intanto rimescolano le carte. La vita di chi li incontra, e rimane, non è più la stessa.