Alla ricerca di un “umano con qualità”

Se c’è una eredità non solo di ordine concettuale che la ricca e variegata letteratura epistemologica sul ‘continente’ scienza, prodotta dalle varie tradizioni di ricerca, ci ha trasmesso è quella  di averne una visione sempre più legata alle peripezie della nostra razionalità come ha affermato Dario Antiseri in vari suoi scritti recenti e meno recenti; essa è fatta di conquiste e nello stesso tempo di ‘estensioni meta-scientifiche’ di un risultato acquisito, come le chiamava un filosofo della matematica francese dei primi anni del ‘900 completamente sconosciuto, Maximilien Winter (1871-1935), uno dei fondatori nel 1893 non a caso della Revue de Métaphysique et de Morale, rivista impegnata da una parte nel superamento della ristretta prospettiva positivistica e dall’altra  nell’offrire una immagine più reale delle diverse dinamiche o ‘anime’, nel senso di Moritz Schlick, della conoscenza scientifica, a partire da quella storica. Tale non secondario aspetto, non metabolizzato nel suo vero spessore epistemico da buona parte della filosofia della scienza del primo Novecento, ci aiuta a capire la varietà degli sforzi di varia natura che hanno portato alla faticosissima conquista di ‘una’ ragione del reale quale fu quella dell’era moderna con la nascita della meccanica razionale; con parole di Hélène Metzger si può dire che l’uomo moderno ha costruito veri e propri ‘monumenti di pensiero’  da Galileo a Newton, poi diventati ‘strumenti normali’ di pratica conoscitiva a disposizione di tutti coloro interessati a quello che Federico Cesi, nel fondare nel 1603 l’Accademia dei Lincei, chiamava il ‘gran theatro della natura’, rivelatosi  ricco di diversi e ulteriori campi da esplorare alcuni dei quali ancora in corso.

Ma accanto a questi importanti risultati che hanno avuto bisogno per affermarsi, sempre con parole di Federico Cesi conterraneo di Dario Antiseri,,  di una ‘filosofica militia’ come quella messa in atto da Galileo nel combattere pregiudizi e pseudo-conoscenze, la stessa razionalità, cioè l’uomo moderno, ha prodotto contestuali ‘estensioni meta-scientifiche’ di una teoria che la stessa ragione critica, nel senso kantiano, ha fatto fatica e continua a fare fatica a riconoscere come tali anche se una certa modernità, quella preannunciata da Blaise Pascal e da certi percorsi dello stesso Illuminismo, le aveva già intraviste come hanno sottolineato Dario Antiseri, Jean Petitot e Mauro Ceruti nei rispettivi lavori; diventate vere e proprie idee che camminano con e nella testa degli uomini come dirà Karl Popper, si sono trasformate in ‘assoluti terrestri’ come li ha chiamati Dario Antiseri in un serrato dialogo con Giovanni Reale nel 2001, Quale ragione? Se la prima ragione epistemologica o ‘filosofica militia’, quella moderna, ha avuto il merito storico di fornire strumenti più adeguati per una razionalità consapevole della sua operatività in campi sino allora inesplorati, nello stesso tempo non ha prodotto un’altrettanta presa di coscienza dei suoi limiti, protrattasi sino a tutto l’Ottocento e parte del Novecento col cadere nel mito dell’onniscienza, come la chiama Mauro Ceruti; pur di fronte a nuovi e numerosi eventi di verità verificatisi in questo cruciale momento della storia umana, che richiedevano e richiedono tutt’ora strumenti di natura ermeneutica più adeguati, quella che si potrebbe chiamare la ‘seconda ragione epistemologica’, e che ha portato al costituirsi della filosofia della scienza come sapere autonomo, non ha dato un significativo contributo alla problematica delle ‘estensioni meta-scientifiche’ di una teoria o a quelli che con Jean Piaget si possono chiamare ‘processi di auto-delimitazione interni alle scienze’.

Ma tale esigenza si sta facendo sempre più pressante non solo sul terreno concettuale, sia sotto l’urto di nuovi e decisivi percorsi di ricerca scientifica soprattutto nell’ambito delle scienze biologiche e sia per gli esiti grosso modo di natura politica per l’importanza a livello sociale acquisita dalla scienza per il suo non secondario impatto tecnologico; non è dunque un caso se in questi primi decenni del secolo stia emergendo il problema dello stretto nesso tra scienza, epistemologia e politica dove hanno un ruolo rilevante tali ‘estensioni meta-scientifiche’ di una teoria  grazie al suo uso o abuso in contesti diversi e con tutto il loro portato di ‘assoluti terrestri’ ed il substrato ideologico che le accompagna; per questo, come ha sottolineato Dario Antiseri che si è abbeverato alle fonti di Siloe del più sano pensiero filosofico-scientifico, è necessario gettare le basi di una nuova ragione che metta al primo piano la lotta senza quartiere contro i suoi stessi ‘abusi’ e delineare quella che si potrebbe chiamare la ‘terza ragione epistemologica’ col mettere in atto una ‘nuova filosofica militia’ dentro i suoi stessi falsi miti ed in grado di spogliare la razionalità umana  degli appetiti di natura totalitaria che in essa spesso trovano spazio. Ma in primis è necessario fare fino in fondo i conti prima sul terreno epistemico con i risultati limitativi che ogni scienza, arrivata ad un certo grado di maturità, produce al suo interno, come è avvenuto nell’ambito della fisica e della logica negli anni ’30 e sta avvenendo in più ambiti del pensiero scientifico che rimane comunque proprio per questo, come dicevano Gaston Bachelard e la figlia Suzanne, l’unico campo dove si assimila il razionale e si forma sia pure con una certa lentezza  la conscience de rationalité.

Ma questo lavoro di vera e propria rigenerazione della razionalità, che trova nelle logiche del pensiero complesso il suo sbocco quasi naturale con tutte le conseguenziali poste in gioco, va sempre fatto contando da una parte sulla presa in carico della storicità intrinseca della conoscenza scientifica, come ci hanno insegnato Enriques ed Hélène Metzger, strumento indispensabile per affrontarne i limiti ma anche per demarcarne i confini con la pseudo-scienza, e forse per questo tale aspetto è entrato tardi  nella stessa coscienza socio-epistemica; dall’altra, come dice Dario Antiseri, bisogna continuare a lavorare nel ‘forgiare strumenti epistemologico-ermeneutici’ che permettano alla ragione di fortificarsi nel prendere criticamente le distanze  dalle sue assolutizzazioni che hanno facile presa sulle menti rese inerti e deserte dalla ricca e contraddittoria letteratura sulla costruzione sociale delle conoscenze, vero e proprio  cavallo di Troia di sofisticate nuove ondate di anti-scienza. In tal modo quei mondi arbitrariamente espulsi o visti in maniera distorta da una certa modernità come la probabilità, la casualità, la singolarità, la contingenza, l’emergenza, l’irripetibilità, l’unicità rientrano con tutto il loro peso e spessore, concettuali ed insieme esistenziali, nel gioco della nuova ragione che non può limitarsi solo a prenderne atto o a considerarli come simboli di un ragione vagabonda  nel senso di Merleau-Ponty, ma li riforgia  in nuovi e inediti orizzonti cognitivi col fare emergere in tutta la loro cogenza le leonardiane ‘mille ragioni del reale silente’, che lo ‘speculatore delle cose’ col ‘disegno della mente sua’ continuamente e pazientemente costruisce.

In tal modo siamo tutti invitati a costruire insieme quella che Dario Antiseri, grazie alla ‘filosofica militia’ strategia teorica avuta in comune col suo conterraneo Cesi e messa in atto sulla scia dei lavori di Popper e Gadamer, ha chiamato in diversi suoi lavori un sano ‘razionalismo della contingenza’ dove questa dimensione, potenziata dall’intreccio con quelle altre sopra citate ed una volta ben metabolizzata grazie all’apporto decisivo del pensiero complesso, acquista la sua piena valenza epistemica ed esistenziale; sta ad ognuno di noi attraversarla ed abitarla, farla compagna di vita e, come dice Mauro Ceruti  nelle ultime pagine di La fine dell’onniscienza, renderla sempre più una componente umana per entrare con più forza in un nuova fase dell’umanità. Se Robert Musil ha potuto scrivere più di un secolo fa L’uomo senza qualità  lasciandoci in eredità una delle più lucide diagnosi delle malattie di una certa modernità col dare poche speranze per una possibile uscita da tale stato di cose, forse è il caso oggi di incominciare a intraprendere un percorso di un ‘uomo con qualità’ o meglio di una intera ‘umanità con qualità’, data la posta in gioco del suo destino e grazie ad un uso sempre più consapevole delle risorse che il pensiero complesso le offre.


FontePhoto by Giammarco on Unsplash
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.