“L’odore del vuoto”, pubblicato da Besa Editrice

Il vuoto bisbiglia parole lontane, suoni, ricordi che sgualciscono il cuore fra il bianco e il nero della nostalgia. Si fa fatica a ricominciare, a lenire il dolore, a dare un nuovo senso al tempo e alle sue corse, a segnare di desiderio tremanti distanze.

Il vuoto è il brillio di una stella che lascia un’impronta e inizia a illuminare come carezza il disagio dell’assenza, quando i contorni delle cose sono meno nitidi e la vita si sfuma per coprire le lacrime.

È il profumo di chi è andato via a destare emozioni nel meraviglioso romanzo “L’odore del vuoto”, pubblicato da Besa Editrice e scritto da una eccezionale Antonella Maddalena, attrice e autrice di Testi per il teatro e il cinema di raffinata sensibilità.

La scomparsa di Guglielmo ha scombussolato la vita della moglie Rosa e delle sue tre figlie Ada, Federica e Guglielmina.

Ogni volta si sentono diverse e nuove, ognuna con parole farfugliate, sovrapposte, talora stridenti come il vuoto che sono costrette a masticare.

Guglielmina non ha mai conosciuto Guglielmo, era ancora nella pancia di Rosa, eppure avverte di avere col padre, che era macellaio, un legame speciale, quasi simbiotico.

Mangiare sempre carne di cavallo la riconduce a lui, a quell’abbraccio che non c’è mai stato, al suono della sua voce che non ha mai udito, alla sua vulnerabilità che è anche forza, al trambusto del cuore che anela ad un viaggio mai iniziato.

Nel crepuscolo mattutino l’aria rarefatta si annusa mentre il caffè borbotta e una certa leggerezza risveglia i sentimenti.

Con gli occhi vivi la realtà non resta immobile, riporta all’origine, alla radice umana, fatta di carne e spirito, alla poesia di un’eternità che sa come spogliare i cuori e lasciare squarci d’intimità.

Un alito divino scuote ombre fatte di fumo, è la fugacità degli strappi a tentare il loro rattoppo, una consolazione che frughi le fragilità e sappia curarle.

Qual è poi la chiave di una nuova felicità che accompagni i sogni?

Quale il contatto d’affetto in mezzo a un buio che spezza le luci dei lampioni?

Ada decide di seguire l’istinto e l’amore e di partire per l’Argentina insieme a un maestro di tango, Santiago, che ha conosciuto da poco.

Forse i risvegli assomigliano sempre ai miracoli!

Guglielmina ama Paolo, “un uomo riservato, introverso, tenace, formale. Ammirano in molti questa coppia, è evidente a tutti che hanno aspettato di trovarsi. Lei ha trentotto anni e lui quarantaquattro. Nessun altro avrebbe potuto prendere il posto di uno dei due, un incontro di anime difficile da non notare”.

Federica, invece, ha alle spalle tre storie sentimentali importanti finite male.

Dopo l’ultima rottura ha abbandonato i luoghi dove i sogni si possono realizzare.”

Non dovrebbe l’amore nutrire lo spirito?

Non dovrebbe calzare a pennello e armare di coraggio?

L’autrice invita il lettore ad addentrarsi in una fitta rete di sentimenti contrastanti: l’insicurezza insaziabile e la tristezza, il pragmatismo e la delusione, l’accortezza e la rabbia.

La natura delle cose e delle persone muta quando le circostanze cambiano, quando le movenze dei sentimenti spaventano, quando dentro qualcosa si frantuma e inizia a far troppo rumore.

Può accadere ad una cena che due sguardi s’accendano e s’incollino per sempre, può accadere in un cimitero che incontri casuali tocchino l’essenza, può accadere ad ognuno di accorgersi che i giorni vissuti fino a poco prima hanno il sapore fragoroso del nulla.

Non tutto si può anticipare, non tutto si può spiegare. I respiri trattenuti, le lunghe pause, le intermittenti speranze, le feribili corazze.

Può essere il timore dell’incompiuto a trattenere i voli o l’eco di un incerto domani a serrare le decisioni.

L’amore si può capovolgere e travolge in un irrimediabile conflitto. Cosa è giusto? Cosa è davvero sbagliato?

Ci medita su Federica, si logora Paolo, è infelice Guglielmina.

Rosa, dal canto suo, attende il Natale per indossare ogni anno gli stessi abiti e le stesse scarpe dell’ultimo trascorso con Guglielmo.

A volte vestire i ricordi serve a cucire addosso chi tanto si è amato.

Altre è necessario estirpare i rami secchi perché la vita avvisa e non bisogna fare finta di niente.

Viene da piangere dinanzi alla rotondità di una pallida luna.

Viene da piangere quando i pensieri si spettinano e nascondono i rimorsi in un cassetto segreto.

L’amore si muove anche attraverso vie scomode, da decifrare, mentre ossessione e sentire sono fusi in una commistione ingarbugliata.

Bisogna poi connettersi a posti pieni di luce per sostare in una gioia fatta di cose semplici.

Amati o amanti. Senza parole o solo soffi. Suoni senza sibili o solo immagini.

Nei ritorni si sta confortevoli come fra le braccia di Dio. Con il cuore palpitante e campi fitti di sogni.

All’emisfero del dolore se ne contrappone uno di fiducia. Ci si allena a vivere  l’amore come un dono e a far svaporare i dubbi.

Ci si sente vicini quando la bellezza assomiglia a un desiderio trattenuto e parla la lingua della presenza. A cuore aperto, disarmati e con la natura che pulsa.

 

 


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Angela Aniello è nata a Bitonto nel 1973, si è laureata in Lettere classiche e dal 1998 insegna nella scuola secondaria di primo grado. Da tempo si dedica alla scrittura come vocazione dell’anima. Ha pubblicato nel 1997 il racconto “Un figlio diverso” edito da Arti Grafiche Savarese e, nel 2005, ha pubblicato anche una raccolta di poesie dal titolo “Piccoli sussurri” edito da Editrice Internazionale Libro Italiano. Ha vinto il concorso nazionale Don Tonino Bello nel 1997 e nel 2004, ha conquistato il secondo premio a un certamen di poesia latina, Premio Catullo ad Acerra (Na) e nel febbraio del 2006 è arrivata il suo quarto premio al concorso di poesia d’amore Arden Borghi Santucci. Quest’anno (precisamente a giugno 2018) ha vinto il terzo premio di poesia e il primo premio per il racconto “Anche la paura puzza” al Concorso “La Battaglia in versi”.