«Si considera l’Amen come una chiusa; ma esso dovrebbe essere soltanto una parola di passaggio all’atteggiamento di preghiera che deve continuare nel lavoro»

(Adrienne von Speyr)

Limmagine fu impressionante. Checché se ne sia voluto dire.

Ma a tutti, specie a coloro che la trovarono suggestiva, molto prima che spaventosa per quanto fosse il riflesso della solitudine a cui ci stavamo condannando, vorrei ricordare che la fede senza le opere è vana (se siete credenti) e che nella vita necessitano fatti a supporto delle parole (se non siete credenti).

E se in questo improvviso oggi, come in quell’improvviso ieri, anche stare a casa continua incessantemente ad essere unopera, un fatto, dalla chiusura si può operare oltre, si possono fare ancora fatti.  E per carità, che si facciano.

Qualsiasi sia lopera, incluso insegnare ai bambini che persino la noia spesso è un dono di cui erano stati privati e di cui possono fare tesoro. Insegniamo loro a riflettere, a riempire il tempo in modo proficuo, a stare con sé stessi. Ma prima di farlo, sforziamoci di ricordarlo a noi, tornare a crederci, allo scopo di risultare credibili.

Tutto questo finirà, in qualche tempo e in qualche modo, ed allora i bambini sapranno essercene grati.

Facciamolo pensando che sì, finirà; che il motivo sia la nostra fede o che troviamo la forza altrove. Convinciamocene e non rinunciamo.

Se i sanitari possono continuare a farlo in corsia, i cassieri dentro a un supermercato, le forze dellordine per strada e con loro chiunque sia fuori per noi, ciascuno può e deve sforzarsi di continuare a farlo nel corridoio di casa. Oggi, esattamente oggi che è più difficile con la stanchezza e la disillusione causata da ieri, sommata al bisogno sempre più insistente di ritrovare ogni tocco lasciato indietro e che magari è ad un tiro di scoppio e si ostina a rimanere irraggiungibile. Oggi, con il nodo in gola.

Se crediamo, dimostriamo finalmente a questo Dio che abbiamo capito qualcosa della sua lezione; se non crediamo dimostriamo ai nostri figli che abbiamo capito quanto siano importanti loro e quanto possa essere stata e possa essere unopportunità anche il doversi fermare. Non lasciamo che vedano solo una gabbia: pagano un prezzo per un debito che non hanno contratto, rendiamoglielo lieve. E prima che a loro, non so come, rendiamolo lieve a noi.

Le mani che aiutano, sono più sacre delle bocche che pregano”

Amen.


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.