
«E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?»
(Matteo 6,27)
Non sapeva nessuno quanti anni avesse, da dove venisse, se avesse camminato o corso; né quanto e se mai avesse riposato.
Di lui si conosceva davvero molto poco, anche perché nessuno aveva mai capito se il mondo in cui viveva e quello che aveva dentro, avessero fatto almeno conoscenza.
Non voleva fastidi e cercava di non arrecarne; non ci riusciva sempre perché a volte (lo sapeva) era un incomodo il suo solo esistere, ma lì non poteva farci niente. Sì, certo, aveva il desiderio di evaporare, delle volte, proprio per non lasciare alcun segno in nessuna memoria e quando gli succedeva, indicativamente si eclissava per qualche tempo cercando di stare il più possibile lontano da tutti, per quanto possibile.
Nella restante parte delle occasioni era molto gioviale, particolarmente aperto, disponibile: a volte sembrava scemo… intendo di quegli scemi che, in realtà, sono buoni, ma per fessi vengono scambiati. Chiaramente sceglieva di lasciare lo si pensasse, gli stava bene.
Un giorno, mentre solitario passeggiava in riva al fiume ed il timido sole iniziava a riscaldare le giornate, un uomo anziano lo incontrò e gli disse qualcosa che suonava più o meno così: “si muore di non vivere, non di altro”.
Beh, lui non ebbe altro da aggiungere, perché nessuno poteva nemmeno sapere quanto forte fosse stato, dall’eternità e per l’eternità, radicato nel suo intimo quel pensiero. Che era convinzione, modus operandi.
E a voler contare, ne aveva fatti di danni e causati disguidi quel modus: avarie e disfunzioni che lui, macerato, macinato e scorticato come la donna di Primo Levi, ma anche consapevole, pacifico e temerario, avrebbe ripetuto senza pensarci un attimo, perché ogni istante vissuto in quella maniera, era sempre valso molto più della sua pena.
Nessuna saggezza, solo il ricordo limpido di un’esperienza lunga quanto una vita, che aveva visto tante morti, quante resurrezioni, ogni volta con un segno di riconoscimento in più: la sua.