Da giovane insieme ad Alberto Sordi, intimo amico, provò la fame
Come ogni giorno do un occhiata ai giornali on-line e mi balza subito agli occhi la non notizia che cento anni fa nasceva Federico Fellini, e quindi vengono promossi i vari avvenimenti che lo celebreranno con mostre varie, una in particolare nella sua Rimini, e innumerevoli incontri. Noi italiani siamo un po’ così, dobbiamo perderle le cose per apprezzarle e preferiamo celebrare i morti più che apprezzare in maniera convinta i vivi, magari gratificandoli maggiormente con premi e riconoscimenti. (Questo in altre parti del mondo non succede, vedi in America).
Siamo sotto Natale e si parla di regali, sicuramente Fellini ce ne ha fatti tanti di regali belli. Tutti i nati dopo la seconda guerra mondiale e tanti altri ancora hanno visto almeno una volta suoi film celebri, per citarne i più famosi: La dolce vita, Otto e mezzo, Amarcord o ancora la Strada (il suo primo film premiato con un Oscar, opera cinematografica che fa da spartiacque fra il cinema neorealista del dopoguerra e il cinema cosiddetto felliniano). Io ho visto i suoi film celebri ma avevo raccolto pochi dati sulla vita di Federico, mi sono soffermata a valutare le sue opere “di indubbia grandezza” negli anni ma ora sentivo il bisogno di umanizzarlo, di capire meglio il suo lavoro. Grazie al contributo di Youtube iniziato una mia speciale maratona: “Alla scoperta di Federico Fellini”. La mia fantasia inizia a vagare, le scene dei suoi film più famosi iniziano ad affollare la mia mente. Le più popolari a farmi sorridere. I suoi film fanno anche parecchio sorridere perché attraverso un sorriso si possono capire molte più cose che attraverso una lacrima. Fellini ha creato delle opere cinematografiche che sarebbero rimaste lì ferme nel tempo, forti e inossidabili a raccontare un’ Italia che non c’è più, descrivendo degli italiani che ci sarebbero sempre stati mettendo in luce le nostre peculiarità, i nostri marchi di fabbrica made in Italy.
Questo regista che ha avuto un aggettivo a lui dedicato (in questo caso non è dovuto morire), l’ho ha ricevuto in vita e lui stesso con ironia, durante un’intervista commentava questo fatto così: «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Ne sono lusingato. Cosa intendano gli americani con felliniano posso immaginarlo: opulento, stravagante, onirico, bizzarro, nevrotico, fregnacciaro. Ecco, fregnacciaro è il termine giusto».
Questa sua ironia ci fa capire quanto fosse un vero è proprio operaio dell’ opera cinematografica, attento durante l’esecuzione, coinvolto sentimentalmente durante le riprese ma poi distaccato quando il film usciva nelle sale, quando era finito. Gratificato più dal lavoro del lavoro che dall’uscita del nuovo film, per lui il premio più bello era avere una nuova idea e battere il primo ciack, fare un altro film, passare un altro anno a raccontare storie a fare il suo mestiere. Fellini aveva bisogno di sentirli i suoi film e lui stesso che richiedeva giorni di osservazione del set e degli attori per capire come comunicare le emozioni e la sceneggiatura. Fellini ha saputo creare un circo più reale della realtà, creando un genere che lo porterà ad assumersi una responsabilità, la creazione di un genere con un grammatica chiara e stabilita. La poesia e l’ironia si incontreranno nelle sue opere per fondersi e creare un panorama realistico ma nello stesso tempo allegorico. Lui lo sa fare bene, sa guardare benissimo delle realtà e le sa ancora meglio riproporle per spiegare a un Italia indecisa fra i festeggiamenti del boom economico e la paura di lasciare per sempre il passato e la sua normalità bigotta.
A commuovermi è l’ immagine visiva che da all’idea del “suo senso della vita”. In Amarcord, suo film del 1973, che ha vinto l’oscar come miglior film straniero, c’è una sequenza dove si vede il un uomo anziano uscire con una certa baldanza per fare dei passi nella nebbia poi tornare indietro nuovamente in casa. Quel vecchietto nell’uscire deve aver sentito, deve aver percepito qualcosa non solo una parete senza profondità e in trasparenza. Ecco tornare a casa per lui è la morte mentre l’andare via di casa per guardarsi in giro è vita, il suo senso della vita. Lui in realtà nasce come sceneggiatore, si è “ trovato a fare il regista” . Per lui tradotto in maniera concreta significava effettuare una serie continua di decisioni. Prendere 100 decisioni all’ora era l’altra cosa che pensava di non saper fare. Scegliere fra pezzi di colori di stoffa, scegliere dei luoghi rispetto ad altri per girare delle scene, pensava non fosse nella sua natura, ma poi ha dovuto ricredersi.
La donna è sempre le protagonista delle sue trame, l’elemento essenziale, ne ha un rispetto profondo, la considera migliore, più vicina al senso religioso della vita e crede che non abbia mai colpa. Il suo film più bello, il più autentico, che ha resistito a innumerevoli ciack sbagliati e a innumerevoli gossip su scappatelle varie è la sua storia d’amore da oscar con Giulietta. La coppia ha scritto pagine importanti della storia del cinema mondiale, culminata nel 1955 col primo Oscar per il film “La Strada” e facendo il bis l’anno dopo, contro ogni pronostico, con “Le notti di Cabiria”. Mentre Fellini inizia a produrre un successo dopo l’altro Giulietta, invece, da moglie roccia si ritira a vita quasi privata, recitando in pochissimi altri film (“Nella città l’inferno” di Renato Castellani, “Giulietta degli spiriti”, ancora con Fellini), e schiva e sopporta le voci (e non solo) sulle scappatelle di Federico. Nel 1993, in mondovisione alla Notte degli Oscar, Fellini le dedica il suo “Oscar alla carriera”, a patto che lei, presente in sala alla premiazione, smetta di piangere commossa.
Il giorno che ha incontrato Giulietta, Fellini lo ricorda come il giorno più importante della vita. Un’immagine bellissima nel racconto della nipote della coppia e che quando si sposarono nel 1943, Giulietta da buona emiliana aveva cucinato le lasagne e una buona zuppa inglese. Subito dopo il matrimonio vanno in teatro a trovare Alberto Sordi (amico intimo di Federico Fellini) e lui fermando tutto lo spettacolo dice davanti a tutti che si sono sposati Giulietta e Federico, indicandoli, e che avremmo sentito parlare di loro e il grande Sordi aveva ragione di lì a poco l’Italia intera li avrebbe visti impegnati a fare degli importanti resoconti sulla storia che stava cambiando. A unirli tantissimo e farli diventare ognuno il punto di riferimento dell’altro nella loro vita matrimoniale è quel figlio mai nato che porterà i due a darsi ancora più amore, perché quello che avrebbero dedicato a quel figlio mai arrivato lo dedicarono alla crescita sempre più profonda del loro rapporto.
Ma è l’immagine che Enzo Biagi ci regala di un Federico ammalato in ospedale che lo rende profondamente umano. Racconta quando lo ha visto in ospedale nel 1993, anno in cui morì, davanti a un’infermiera Fellini cui parlava di Biagi come un bravo racconta storie, perché la cosa più importante per Federico Fellini era raccontare fatti, belli o brutti purchè narrativi e descrittivi: parlava di storie come se fosse la cosa più importante, il proprio scopo di vita il motivo per cui era venuto al mondo, il senso del suo genio.