«Un punto vidi che raggiava lume 
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca 
chiuder conviensi per lo forte acume»

(Paradiso XXVIII, vv.16-18)

Un punto. È sempre un punto quello che fa la differenza. È l’istante che decide della durata.

Ne sono convinto.

Le circostanze che ci coinvolgono, quelle in cui bisogna prendere una scelta, destra o sinistra, avanti o indietro, mollare o resistere, beh, quelle circostanze sono più meno le stesse per tutti, o almeno per tanti.

Ma la differenza la fa solo un punto. Quello in cui decidi e ti decidi. E fai la storia: la tua storia, ma anche quella di chi, a cerchi concentrici, si relaziona con te e attorno a te.

Ecco, in questo ventottesimo canto Dante ci descrive a modo suo, così lontano dal nostro, l’ordine dei cerchi angelici: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli. Un ordine che si vuol far risalire alle visioni di San Paolo, che fu ripreso da Dionigi l’Aeropagita e che Gregorio Magno alterò per errore – e con Gregorio anche Dante nel Convivio.

Una fantasmagoria che, francamente, non mi seduce.

Invece, mi attrae, come una calamita attira polvere di ferro, una terzina che precede la narrazione:

«Un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume»

(Paradiso XXVIII, vv.16-18)

Vidi un punto che irradiava una luce tanto forte che è necessario tener chiusi gli occhi che ne sono accecati: è più o meno questo il senso di questi versi e questi sì che mi scaldano il cuore. Perché mi riportano al punto. Quello in cui ciascuno di noi decide se essere giorno o notte, foschia o stella, pugno chiuso o mano aperta, cuore che batte o vento gelido.

Quel punto, infinitesimale, luminosissimo e circondato da un alone fiammeggiante, in questo ventottesimo canto è Dio stesso, da cui depende il cielo e tutta la natura (v.42).

Nondimeno, lo ribadisco, a me sta a cuore il punto impercettibile che si nasconde in me e in te, in ognuno di noi, e che ci fa scegliere se essere pro o contro. Ci fa urlare al buio o seminare luce: a fondo perduto.

Qual mistero è quello che si nasconde nel mio e nel tuo punto? Cosa fa sì che a quella luce ci apriamo o ci opponiamo? Quanto vorrei scoprirlo.

E invece no: non resta che accogliere. Il cammino è quello che si fa, non si disegna. Disdegna i programmi e ci sorprende ad ogni svolta. In attesa del varco, come nella Casa dei doganieri, dove c’è chi va e chi resta.

Nondimeno, c’è un punto. E in quel punto ci decidiamo. Io e tu.

Che sia luminoso il tuo andare.

Marco Ercolani: «A quale età si osserva meglio la luce?».

Elisabeth Kubler Ross: «Le persone sono come le vetrate. Scintillano e brillano quando c’è il sole, ma quando cala l’oscurità rivelano la loro bellezza solo se c’è una luce dentro».

Ruth E. Renkel: «Non abbiate mai paura dell’ombra. È lì a significare che vicino, da qualche parte, c’è la luce che illumina».


FonteFoto di copertina: pixabay.com liberamente reinterpretata da Eich
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...