Sostenere la candidatura al Nobel per la Pace di Domenico Riace è un modo, non velleitario, per dare un sostegno veramente democratico ad una differente idea di relazione tra gli uomini e tra gli Stati
Come molti lettori di Odysseo forse già sanno, in questi giorni, fino al 30 gennaio, è in corso una raccolta nazionale di adesioni alla richiesta di candidatura per l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2019 al Comune di Riace, nella figura del suo sindaco, Domenico Lucano, per l’azione di accoglienza messa in campo in questi ultimi anni a favore di cittadini stranieri immigrati da paesi nei quali le condizioni di vita sono inaccettabili a causa di guerre e guerriglie in corso, carestie, malattie endemiche, povertà cronica, persecuzioni politiche e numerose altre ragioni che ciascuno di noi intuisce facilmente per il fatto stesso che donne e uomini, bambini e anziani, in massa, sono disposti a giocarsi il tutto, anzi, il nulla che posseggono, affrontando interminabili odissee pur di trovare finalmente un luogo che dia loro condizioni di vita degne dell’essere umano.
Ben nota a tutti è la vicenda del piccolo e per molti versi eroico Comune di Riace che, in una realtà come quella della Calabria, afflitta dalle antiche e mai sanate piaghe dello spopolamento, della disoccupazione giovanile e della malavita, ha dimostrato grande forza morale e capacità inventiva nell’impegno a realizzare un modello di convivenza civile tra la popolazione locale e i nuovi arrivati, in cui l’altro, lo straniero, non sia visto come un ingombro da gestire (e di cui liberarsi, appena possibile), ma come una persona la cui vicenda umana è portatrice di valori e significati tanto quanto la nostra. E c’erano altri obiettivi ai quali si stava lavorando, attuando un modello di democrazia partecipata non solo teorico, ma effettivo: il ripopolamento di una comunità demograficamente ridotta ai minimi termini per l’inevitabile fuga dei giovani da un territorio privo di risorse, il risanamento di edifici altrimenti destinati ad irreversibile disfacimento, la creazione di nuove botteghe e opportunità di lavoro artigianale, lo stimolo a un turismo intelligente, sollecitato dalla peculiarità di questa esperienza sociale. L’ambizioso progetto, giorno dopo giorno, cominciava a dare i suoi frutti e l’intera popolazione, i vecchi residenti come i nuovi arrivati, aveva preso a beneficiarne. Su tutto questo, come si sa, è calato all’improvviso il pesante colpo di scure di un’inchiesta giudiziaria sull’operato del Sindaco sfociata in tempi brevissimi nella pesante accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina. Conseguenza: Domenico Riace è stato arrestato, rilasciato dopo poco, ma destituito dall’incarico e allontanato dal paese in quanto persona indesiderata. Un soggetto pericoloso, niente da dire, in una Calabria rivelatasi all’improvviso legalista ed efficiente come una Svizzera in miniatura!
Senza voler pronunciare giudizi che non ci competono sulle motivazioni dell’intervento giudiziario, è però impossibile esimersi da un’opinione critica, è impossibile non esprimere indignazione civile a fronte della totale sproporzione tra eventuali irregolarità, di tipo più che altro amministrativo, che può aver commesso il Sindaco, e l’estrema quanto inconsueta severità e rapidità con cui il procedimento è stato avviato, condotto e portato alle più gravi conseguenze, non solo e non tanto per l’imputato, ma per i soggetti più deboli, i profughi ospiti del paese e l’intera comunità, che s’è vista deprivata di un’esperienza di civiltà che la stava facendo rifiorire e aveva richiamato l’attenzione e l’ammirazione di altri paesi europei. C’è di peggio, però, in termini più generali, che vanno oltre il singolo, e pur grave, caso Riace. C’è il pessimo esempio d’una cattiva politica nazionale e d’una gestione se non altro discutibile della macchina giudiziaria: senza pensarci su due volte, si è data una spallata ad un’iniziativa spontanea e originale di rinascita nella realtà territoriale di un sud dove, in molte altre circostanze, i tempi della giustizia hanno avuto ed hanno abitualmente lentezze geologiche; dove l’inerzia, l’incapacità d’intervento della classe dirigente, locale e nazionale, è cosa tristemente nota. Al confronto, le presunte irregolarità commesse dal Sindaco assumono le dimensioni d’un oggetto visibile solo al microscopio. Sarebbe questa la politica di cui il nostro sud ha bisogno? Ed è questa l’immagine che ci dovrebbe rendere più forti e credibili nelle nostre legittime richieste all’Europa di politiche d’accoglienza responsabili ed incisive? Questo il modo più efficace per gridare che non vogliamo più essere lasciati soli a gestire i flussi migratori?
Sostenere la candidatura al Nobel per la Pace di Domenico Riace è un modo, non velleitario, non marginale, per dare un sostegno collettivo, democratico, veramente democratico, ad una differente idea di relazione tra gli uomini e tra gli Stati, oltre che all’immagine, perla rara e preziosa, di un sud che si rimbocca le maniche e dimostra che, nelle condizioni più disagiate, è in grado di affrontare i problemi con le sue forze e la sua creatività.
A proposito di Sud, guarda il video di FanPage, “O core di Napoli”