Un magro sapere

 

I

Mi alzo a volte di soprassalto

e mi ritrovo come colui

che si prepara per un viaggio

e come facendo l’inventario

di quanto ancora gli potrà servire

ad ogni cosa si sorprende a dire:

per il tempo che mi resta…

 

II

E intanto mi aggrappo

nell’ansia di esistere

o di resistere

a brandelli di parole.

 

Ogni mattino

riemergo alle consuete cose

ritorno a leggere a scrivere

mi riesce persino di pensare.

 

E mi avviene a volte

di contemplare la mia vita

come fosse quella di un altro

con infinita pietà.

 

III

Mi chiedi spesso, amore,

quando tra noi l’amore è tenerezza,

– Saremo felici insieme?

Certo, con impeto ti dico.

 

Ma poi di questo solo son certo

– e forse qui, amore,

è la nostra sola felicità –

 

Soffriremo il doppio

Ma soffriremo insieme.

 

IV

Ho parlato con gli amici

ricordando le lotte d’un tempo.

Ora dal balcone guardo scendere

la luna dietro la montagna.

 

Un attimo e il crinale così netto

è solo una linea confusa.

Solo un istante fa

sognavamo di vivere.

 

Non so se sia più importante

dire la sconfitta che ci accomuna,

l’illusione caduta e da ricostruire

o questa luna ancora alta sulla collina

che elettrizza l’albero stecchito

qui davanti alla finestra.

 

O forse non fa differenza

tutto è uguale e tutto è segno:

la nostra vicenda, la luna

e l’albero stecchito.

 

V

Forse, altro non siamo

che ragnatele effimere

ai bordi delle strade.

 

Le tramuta a volte

La rugiada del mattino

in lucenti merletti.

 

VI

Di nuovo un fremito qui

davanti a questo mare d’intenso blu,

tra guizzi di rondini perfetti

lievi oscillano i melograni

 

VII

Stupore mattutino

questa scrittura misteriosa,

cuneiforme dei gabbiani

sulla sabbia intatta.

Saprò decifrarla

prima dell’arrivo

dei bagnanti?

 

VIII

Cammino lungo la battigia verso l’edicola,

scorgo il bimbo incantato

davanti alla piuma di gabbiano,

sorrido al buon musulmano

che sistema per le bagnanti

microscopici costumi,

supero l’anziana al braccio della figlia…

 

E mi perdo a immaginare

la particella di Higgs che ha dato consistenza

alle cose, a questi minimi eventi…

 

Attraversando la strada m’arresta

la farfalla finita sull’asfalto,

si dimena invano

in un estremo sussulto di vita.

 

IX

Fanciulla ebrea,

uguale ti pensavi, nel sogno,

a tante figlie di Galilea,

data in sposa a un vegliardo

che accolse il figlio che portavi,

ti sei trovata – quando l’hai capito? –

dentro un disegno che ti sovrasta.

 

In questo giorno di ferragosto,

folle ferventi, folle distratte,

ti cantano canti innamorati

– coronata di stelle, bella come il sole… –,

portano in processione

statue dorate, ingioiellate,

che ti ritraggono in mille fogge.

 

Ti proclamano immacolata,

concepita senza peccato,

assunta in cielo col tuo corpo.

Ripetono, ignari, l’antico canto

Dei poveri che attendono giustizia,

Dove sei, ora, in quale luogo,

 

dolce fanciulla ebrea?

Ti schiaccia il peso troppo grande

D’aver dato una madre a Dio?

 

Figlia di Galilea,

te ne stai silenziosa e sola

sotto un ulivo o sotto un fico.

Hai lasciato un cielo troppo lontano?


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Domenico Canciani ha insegnato Lingua e civilizzazione francese nell’Università di Padova, occupandosi di Minoranze, storia intellettuale nella Francia del XX secolo e nel Maghreb, dei temi del dialogo interreligioso curando gli scritti di Louis Massignon (L’ospitalità di Abramo. All’origine di ebraismo, cristianesimo e islam, 2002; La suprema guerra santa dell’islam, 2003). Da anni si dedica allo studio della vita e del pensiero di Simone Weil, pubblicando articoli e monografie. Nel 2012 il volume Simone Weil. Le courage de penser, sintesi delle sue ricerche, ha ricevuto il Prix Biguet de l’Académie Française. Con Maria Antonietta Vito ha avviato una sistematica traduzione e cura di molti scritti della pensatrice francese.