”Ti amo, ma ora ho un uomo incappucciato davanti e non ho tempo”
11 anni, 132 mesi, 4.015 giorni, 96.360 ore, numericamente rappresentano il medesimo quantitativo di tempo, ma moralmente quanto valore può assumere ogni numero se rappresenta il tempo passato insieme al proprio figlio?
”Ti amo, ma ora ho un uomo incappucciato davanti e non ho tempo”, queste le parole con cui l’adolescente undicenne di Napoli ha detto addio alla mamma tramite un messaggio prima di lasciarsi cadere nel vuoto dal balcone al decimo piano della propria abitazione. Strazianti i minuti a seguire che hanno spezzato le vite di parenti, amici e compagni ancora increduli sulle reali motivazioni che lo hanno spinto a rinunciare alla sua vita.
Tra le infinite ipotesi in corso di analisi dalla Procura per istigazione al suicidio, dopo aver interrogato amici e parenti sul presunto avvicinamento dell’adolescente da individui lontani dalle sue conoscenze, emerge quella di fase conclusiva di una squallida challenge che trova le proprie radici sui social. L’ipotesi più accreditata smuove l’opinione pubblica dal pomeriggio del 30 settembre, poche ore dopo il suicidio in questione, giorno nel quale si registra un picco di ricerche su Google legate all’espressione ”Jonathan Galindo” (come si evince da una statistica emessa da Google Trends). Ma chi è realmente Jonathan Galindo? E soprattutto quali sono i suoi obbiettivi? In quanto all’identità dell’uomo influente dagli istinti crudeli, pare sia stato rubato il personaggio di un make up artist che lavora nel mondo del cinema, il quale nel 2014 aveva dato vita ad un Pippo umano di nome Larry. Quale sia lo scopo di usare tale personaggio per nascondersi e circuire a proprio piacimento le menti di bambini ed adolescenti, non è ancora ben chiaro. Il fenomeno non è nuovo, infatti, negli anni precedenti si sono già verificati casi di challenge virali che inducevano al suicidio mediante una serie di prove che vantavano un crescente ordine di difficoltà basato sull’autolesionismo (un esempio ne è la tanto discussa ”Blue whale”, anche detta ”il gioco della morte”).
Nel pieno delle indagini, ancor oggi in corso, si è svolto il funerale del piccolo ragazzo del Sud. Un ultimo saluto tra occhi taciti colmi di lacrime e fiori, è stato dato il 3 ottobre nella basilica di Santa Chiara a Napoli. ”Lui pescava pensando di aver preso un tonno, lo ha addentato e invece era un pesce velenoso”, queste le coinvolgenti parole del padre che racconta, ancora sotto shock per il gesto folle del figlio, di averlo visto sorridere anche all’ora di cena, una manciata di minuti prima della tragedia.
Nel mondo del web sono schizzati alle stelle i commenti sotto interrogativi sull’educazione all’uso della tecnologia da parte dei minorenni. È davvero colpa dei genitori il pessimo utilizzo dei social network? Questo è un dilemma che popola il mondo dei social ormai da diversi anni e si è lasciato spazio alle opinioni più disparate.
Quante volte da bambini ci è stato detto di non parlare con gli sconosciuti? E quante volte abbiamo disobbedito a quello che ci è stato detto? Per l’undicenne ormai nel cuore di tutti non c’è stata la possibilità di capire quanto sia importante obbedire ai genitori perché quello che sarebbe potuto essere un piccolo strappo alla regola, un errore dell’età adolescenziale, si è rivelato fatale strappandogli la vita ancor prima di essere vissuta.