Una breve narrazione
“Si vorrebbe essere balsamo per molte ferite”
(Etty Hillesum)
Molte volte lo Spirito Santo viene considerato come un qualcosa di evanescente che rischia di sparire. Invece, il Vangelo ci offre delle immagini, delle metafore per parlare dello Spirito, come quella del vento, del fuoco e via discorrendo.
Una delle metafore che potrebbe alludere e a rappresentare lo Spirito è quella del balsamo. Proviamo a dare qualche pennellata su un tema così ampio e delicato.
Oggi la teologia è chiamata a confrontarsi e a prendere sul serio sono le seguenti domande: Come parlare oggi di Dio, di Cristo, dello Spirito? Bene, una delle forme per parlare di Dio, di Cristo e dello Spirito oggi è il racconto, la narrazione, la metafora.
Se si apre lo scrigno della Sacra Scrittura è possibile notare come lo Spirito, seppur invisibile e discreto, è tuttavia presente dalla creazione del mondo fino al suo compimento. In modo singolare, lo Spirito è presente nella vita, nella passione, nella morte, nella sepoltura e nella risurrezione di Cristo. E per riflesso è presente in tutto il tempo dell’uomo: dal grido della vita nascente al sospiro della vita morente fino al respiro della sua risurrezione.
Il presente contributo intende soffermarsi in modo particolare su un aspetto che molte volte viene trascurato: la presenza dello Spirito Santo nella sepoltura di Cristo, usando la metafora del balsamo.
L’immagine del balsamo o del profumo offre la possibilità di raccontare che lo Spirito non abbandona Cristo nel sepolcro, ma rimane con Lui.
Le bende che lo avvolgono sono impregnate di balsamo per custodire Cristo e non lasciarlo solo.
Se lo Spirito è presente nella nascita di Cristo come colomba, nella morte come respiro, nella sepoltura è presente come balsamo. Nella risurrezione sarà la vita stessa.
Nel Sal 84,7, “valle del Balsamo” è stato tradotto con “valle del pianto” per via della vicinanza con la radice baka, piangere. Infatti, l’arbusto, secernendo dai rami una specie di resina, sembra piangere.
È veramente curioso questo aspetto: nella valle del pianto cresce il balsamo, che è nel linguaggio comune metafora di consolazione. Quella pianta che sembra piangere ha in sé già la consolazione.
Questo luogo, poi, sembra essere il luogo degli ossimori, delle dicotomie. È il luogo del pianto e della speranza, dell’ormai e dell’eppure, delle lacrime e della carezza consolante, del dolore e dell’amore, della morte e della vita, della tempesta e della bonaccia, del limite e dell’illimite.
È il luogo in cui gli opposti si attraggono e le attrazioni si spingono e si respingono.
Ma questo Gesù l’aveva già detto, quando dalla cattedra del monte delle beatitudini ebbe a dire: “Beati coloro che sono nel pianto perché saranno consolati” (Mt 5,4).
Lì dove sembra che tutto sia finito, ecco che prende avvio un nuovo inizio. «In my end is my beginning» (nella mia fine è il mio principio), scrive Eliot.
Aprendo ancora una volta il grande codice della cultura occidentale, la Bibbia, nel libro veterotestamentario del Siracide, si dice che lo Spirito di Dio si diffonde come un profumo.
Nel Nuovo Testamento saranno le donne più volte a onorare Gesù con i profumi, come per esempio nella celebre scena della peccatrice che unge di profumi i piedi di Gesù.
L’invisibile profumo resinoso e balsamico della mirra che aleggia nell’aria suggerisce qualcosa di infinito, uno spazio imputrescibile, uno spazio di non-morte. La storia della risurrezione di Cristo è allora storia di un profumo di resurrezione.
L’olio fragrante e profumato è nel linguaggio comune l’alimento per il nostro corpo, è l’olio che nella lampada illumina l’oscurità della notte; è l’olio che, versato, impregna della sua tenerezza perfino la pietra più dura.
Così facendo lo Spirito di Dio non rimane nei cieli, ma si dispiega sulla terra e nell’anima, quell’«anima che sospira il balsamo perduto», come sentenzia Goethe.