Si chiama Vincenzo Pilato, ha 37 anni e da un lustro vive in Germania, a Berlino, con sua moglie Julia e i suoi due bambini, Bruno di 4 ed Emma di 2 anni. Lavora come responsabile delle risorse umane di una multinazionale in ambito retail. Vincenzo ha scelto Odysseo per raccontare la propria esperienza di andriese all’estero.
Ciao, Vincenzo. Perché hai scelto di trasferirti, con la tua famiglia, a Berlino?
Ero uno dei tanti giovani precari in Italia, con in mano una laurea, un master e la valigia in mano, sempre disponibile a trasferirmi di città in città, pur di costruirmi la mia carriera lavorativa e raggiungere la mia autonomia economica. La spinta a partire per Berlino è arrivata dalla mia compagna tedesca che, dopo un anno sabbatico passato in Italia, mi ha coinvolto proattivamente alla ricerca di una vita che poteva valorizzare meglio le mie capacità, competenze, soddisfare la mia voglia di internazionalità e migliorare quindi lo stile e qualità di vita in generale. Abbiamo così deciso di trasferirci a Berlino, ai nostri occhi un mosaico di culture e tendenze diverse, con il suo unico mix esplosivo di intrattenimento (vivacità culturale) e la sua contagiosa atmosfera innovativa dove poter trovare tutto ciò di cui hai bisogno.
Quali sono state le difficoltà che hai incontrato vivendo all’estero?
Lo stile di vita e il livello di integrazione rendono Berlino un paese ricco di culture diverse, per cui oggi mi sento di vivere all’estero senza mai sentirmi straniero! Non nascondo che ho raggiunto questo “state of mind” dopo un certo percorso di crescita personale. Emigrare rappresenta un partire dall’anno zero, il che richiede una grande forza psicologica e motivazionale. Ho imparato negli anni ad aprirmi a conoscere le “tante Berlino”, le sue storie e la sua lingua (il tedesco) per integrarmi con la sua gente e districarmi nell’articolata (ma efficiente) burocrazia locale. Il clima è quello che è, percui dopo anni di imprecazioni accetti ed inizi ad apprezzare anche i piccoli raggi di sole.
In termini occupazionali, quanto incide la flessibilità di orari nell’efficienza lavorativa e nella qualità di vita?
A Berlino ho trovato una cultura flessibile e di fiducia nei confronti dei lavoratori. Flessibilità che si riscontra sia nelle modalità molto diffuse di lavoro ibrido e fully remote, sia negli orari di lavoro, dove si deve garantire presenza nelle ore di ”core business” in accordo con le linee guida dell’azienda e del proprio responsabile. Dal punto di vista lavorativo, ho imparato ad ottimizzare il tempo, gestendo meglio il workload giornaliero e lavorando per priorità e progetti. Dal punto di vista personale ho creato uno stile di vita più salutare, una vita “al di fuori del lavoro”, potendo partecipare di più alla vita famigliare e a vivere i miei hobbies.
Cosa consiglieresti ad un giovane andriese?
C’è una frase molto bella “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni” (Eleanor Roosevelt). Direi ai giovani andriesi di essere curiosi, di mettersi costantemente in gioco, di scoprire nuove cose e vivere nuove esperienze.
Siate cittadini del mondo!
Progetti futuri?
Berlino rappresenta ad oggi una meta importante di questo meraviglioso viaggio, che si chiama vita. Mi piacerebbe in futuro rientrare in Italia con la mia famiglia, per contribuire attivamente allo sviluppo del Paese.